Perché Obama ha preso atto che il miglior inviato in medio oriente è il tempo

Una delle critiche rivolte al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dopo il suo recente nuovo discorso sul medio oriente è stata: non c'è un piano preciso per il dialogo tra Israele e Autorità nazionale palestinese. Certo, c'è l'affermazione di principio sul ritorno ai confini del 1967 – affermazione che ha provocato "il gelo" tra la Casa Bianca e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, parzialmente sanato dal discorso di Obama all'Aipac - e poi c'è anche la naturale richiesta di garanzie per il diritto alla sicurezza dello Stato d'Israele, ma manca – dicono gli osservatori critici – una concreta road map per raggiungere questi due obiettivi. Il problema di fondo è che in questo periodo l'unica road map realista nasce da un rassegnato principio ispiratore di fondo: bisogna lasciare che il tempo passi; lo sa bene l'ex inviato di Obama per il dialogo israelo-palestinese, il già senatore George Mitchell, che ha appena rassegnato le dimissioni dall'incarico in medio oriente. 

In sostanza, per arrivare a una pace solida e duratura serve un lungo, generazionale, periodo di tregua, senza attacchi terroristici, senza guerre di confine, senza operazioni militari su vasta scala. Serve che passi il tempo della tregua, come in parte sta accadendo da alcuni anni, dalle ultime operazioni militari decise dall'allora premier Ariel Sharon in risposta alla terribile successione di attentati, e come in parte sta succedendo dopo la creazione della barriera difensiva d'Israele, che ha favorito il ritiro unilaterale da Gaza, riducendo considerevolmente il numero di attentati e di tentativi di attacchi nel territorio dello stato ebraico.

Un lungo periodo di tregua è indispensabile per far crescere generazioni più refrattarie all'odio e meno legate al ricordo delle recenti guerre. La situazione di veloce trasformazione del medio oriente sorta dalle recenti rivolte in quasi tutti i paesi del Nord Africa ha rafforzato, in Israele ma anche nei paesi arabo-musulmani, la consapevolezza che per giungere a una pace duratura sia indispensabile un lungo periodo di relativa calma per far sì che le ragioni dello scontro sbiadiscano fino a diventare soltanto legittime richieste di carattere diplomatico, per far sì che la nuova mappa geopolitica del medio oriente si consolidi sempre più nella direzione della democrazia e dell'apertura politico-religiosa delle nazioni coinvolte nel processo di trasformazione in atto.

Queste considerazioni, rassegnate sul presente, ma ottimiste sul medio-lungo periodo, devono aver convinto il pragmatico presidente Obama dell'utilità di fare un discorso programmatico, di principio, certamente utile a (ri)dare un punto di riferimento costante negli Stati Uniti per le piazze arabe, sopratutto perché questo discorso è stato accompagnato dalla decisione di imporre sanzioni al rais siriano, Bashar el Assad, ma le stesse considerazioni lo hanno anche indotto a evitare di fissare un calendario preciso per i prossimi mesi. Un calendario di questo tipo, visto il ribollire di novità nella regione, non è ora ipotizzabile.

In questo periodo, infatti, il miglior diplomatico in quell'area è il tempo. Lo ha capito benissimo anche l'inviato del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia) in medio oriente, Tony Blair, che di recente ha anche ricordato come sia molto difficile per Israele intraprendere un dialogo con la nuova realtà palestinese, visto che dopo la pace tra Fatah e Hamas metà della rappresentanza politica dei palestinesi, cioè Hamas, non riconosce nemmeno lo stato ebraico, anzi ne auspica la fine. L'ex premier britannico nello svolgere le sue funzioni nella zona continua a battere sul tema della crescita economica per i territori palestinesi. Invece di dare precisi punti o snodi di carattere temporale o diplomatico alla sua missione, Blair continua a ritenere fondamentale soprattutto lo sviluppo economico e commerciale delle due parti in conflitto e tra le due parti in conflitto.

Più il tempo passa, più la calma relativa resiste, più la tregua favorisce lo sviluppo economico della regione, meno manca alla possibilità di giungere a una pace solida, sicura e duratura.