Da Romney al loden, questa è l’ora dei “maverick” o dei “perfetti”?

Banalizzando molto, dal New Hampshire a Parigi passando per Roma, si può dire che tutto sta nel capire se questo è il tempo dei "maverick" (da wikipedia: termine usato dai cowboy per indicare i giovani capi di bestiame privi di marchio partoriti dalle vacche nei pascoli in cui vivevano in condizione di semi-libertà) o dei "perfetti", dove entrambi i termini non hanno alcuna connotazione di carattere etico, e tanto meno politico, né positiva né negativa. Anzi, sono semplici caratteristiche, o meglio: il più delle volte sono soltanto la percezione di sé che un politico dà alla maggioranza.

"Maverick" è una testa calda, un outsider, uno che non è del tutto a suo agio nel campo in cui scende, uno vestito da sci sulla spiaggia di Rimini, ma anche per queste bizzarrie è visto come rivoluzionario, come un Eric Cantona, già calciatore, attore e ora aspirante candidato all'Eliseo, o come un Ron Paul che vuole abolire la Federal Reserve e ritirare la presenza americana da ogni parte del mondo. Il "maverick" è attraente, nel senso almeno della curiosità che genera negli altri. Il "perfetto" è uno che ha studiato tutta la vita per fare esattamente la cosa che sta facendo. Per capirci la bandana è molto "maverick", il loden è molto "perfetto".

Circola la sensazione che questa sia l'era dei "perfetti", pare che il clima di tensione per la crisi generale spinga più verso un dottore che verso un "maverick". Il pendolo della cronaca politica, dunque, potrebbe essere visto oscillare, nel corso della storia, più che tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, proprio tra "maverick" e "perfetti". Però ci sono sempre dei però.

Il gioco si può fare comunque. Se è l'era dei perfetti, Mitt Romney vincerà non soltanto in New Hampshire, ma l'intera gara tra i repubblicani. E' un "perfetto", perfino nella pettinatura. Ma dovesse ottenere la candidatura dovrà vedersela con un presidente che, almeno in campagna elettorale, riesce a essere contemporaneamente un "maverick" e un "perfetto". Come Nicolas Sarkozy, che infatti sconfisse la "perfetta" Ségolène Royal in Francia. E per questo, per la doppia caratteristica, è presto per dare per spacciato il presidente francese nella sua corsa contro il rivale per ora favorito (e perfetto, anche se meno dell'ex moglie), cioè il socialista François Hollande.

In Spagna, dopo il "maverick" perfettino José Luis Rodriguez Zapatero, più come percezione che come realtà, è finalmente arrivata l'ora, alla terza volta, del "perfetto" Mariano Rajoy, che le altre volte forse aveva perso anche perché allora erano i tempi dei "maverick", eppure lui poco o nulla aveva detto allora e poco o nulla dice ora. La Germania non ha mai amato troppo i "maverick", ma è certo che Angela Merkel è sicuramente una perfetta se paragonata alla coppia "maverick", sebbene ben inserita, Schroeder-Fischer.

Tony Blair (per non parlare di sua moglie Cherie) è stato assolutamente un "maverick" nel suo mondo laburista: i sindacati ancora non gli rivolgono la parola, tanto per capirci. Ma poi è stato soppiantato troppo presto da un "perfetto", Gordon Brown, che aveva la grave colpa di essere solo e soltanto "perfetto", ma in anticipo rispetto alla storia. E poi nel mondo anglosassone, Obama ne è appunto la prova, per vincere bisogna essere un po' maverick e un po' perfetti. Come il conservatore senza briglie David Cameron. Se uniamo i Tory di oggi ai Lib-Dem di Nick Clegg, diciamo che si vede ancora meglio come la Gran Bretagna sia un'isola rispetto all'Europa "perfetta". Quanto quest'isola sia felice lo dirà la storia.

Lula è stato certamente un "maverick" e ce ne ha messa di fatica per arrivare allo scranno più alto del Brasile, ma poi alla fine a lui è succeduta la "perfetta" Dilma Roussef. Stesso discorso, ma in anticipo rispetto al fantapolitico trend mondiale, vale per l'India, dove Sonia Gandhi ha da tempo dato le sorti del governo in mano al "perfetto" Singh. E che dire del lontano Giappone? Lontanissimo è il ricordo del "maverick" Junichiro Koizumi.

Israele, come spesso accade, fa storia un po' a sé, anche se con buone ragioni si può comunque sostenere che Ariel Sharon fosse molto più maverick del "perfetto" Benjamin Netanyahu. Dei Kirchner argentini il "maverick" era il marito, primo presidente in famiglia, poi morto, rispetto alla moglie, seconda presidente in famiglia e da poco rieletta a perfetto furor di popolo.

Diciamo così, sempre ultrabanalizzando, se i tempi sono perfetti o quasi, vanno più forte i "maverick". Se i tempi sono già "maverick" loro, sembrano più amati i "perfetti". La miscela giusta per la vittoria, almeno in democrazia, è ovviamente un giusto equilibrio tra le due doti? Sì. Forse dipende tutto anche dal pendolo della paura. Cioè il grado di timore è inversamente proporzionale al tasso di "maverickismo" richiesto a un leader. Comunque quest'anno ci saranno appunto due belle prove per questa bizzarra teoria, negli Stati Uniti e in Francia.

Ps. E dire che secondo me alla fine a rischiare grosso alle elezioni sarà Angela Merkel, per fortuna sua le urne tedesche sono ancora abbastanza lontane (2013).