Hollande vince, ma niente terza stella: deve ancora giocare la Chiampions

Il socialista François Hollande – e, per favore, risparmiamoci paralleli per ora quanto meno irriguardosi con François Mitterrand – è il nuovo presidente francese mentre il presidente sconfitto, Nicolas Sarkozy, può davvero mangiarsi le mani: si è via via normalizzato, ha abbandonato lo spirito della “rupture” e della riforma radicale del sistema paese, e alla fine ha perso.

Ora arriva all’Eliseo un socialista dalle idee differenti ma altrettanto radicali e chiare – rivedere i patti europei, tassare i più ricchi e la finanza, riportare indietro le lancette dell’età della pensione eccetera eccetera – e già in tanti scommettono che dovrà, come fece Sarkozy, via via normalizzare le sue idee e miscelare le sue promesse con le esigenze arcigne della realtà, del realismo. Attenzione, in questo caso, non è detto, ma un freno comunque ci sarà. A Bruxelles.

Tutti gli idealisti sono prima o poi assaliti dalla realtà, dunque è possibile che anche Hollande nel suo agire dall’Eliseo, soprattutto prima delle prossime elezioni legislative, debba fare molto la tara rispetto ai suoi stessi annunci. Del resto, questo è il gioco delle campagne elettorali: promettere cento e se almeno fai cinquanta, forse te la (ri)giochi la prossima volta. E Sarkozy, appunto, deve mangiarsi le mani.

Al di là degli improponibili paragoni e paralleli tra la Francia e l’Italia o il resto dell’Europa, al di là del giudizio frammentato e complessivo sulle varie tornate elettorali di questo turbolento periodo, ciò che rischia di emergere è una poco giustificata sensazione che ora in Europa tutto cambia. Non è così perché, nel bene e nel male, l’Unione europea è un complesso di giacche da tirare, più che un campo da gioco in cui l’ultimo arrivato, vincente e in forma, può dettare la nuova, rivoluzionaria linea (in economia e non solo) del Vecchio continente. Hollande dovrà infatti fare la tara rispetto alle sue promesse soprattutto in sede europea. Perché se esagera su posizioni radicali, si ritrova isolato e se la Francia si isola conta sempre di meno: il discorso vale per altri paesi, ma in questo caso per la Francia in particolare.

Un conto è promettere ai francesi che in Europa si farà il diavolo a quattro per rivedere l’austerità, tutt’altro conto è rompere da soli il processo di faticosa ma costante formazione delle varie politiche comunitarie. Vaste programme.

Certo, le cancellerie europee terranno in parte conto del risultato di Parigi, ma anche Parigi deve tener conto di quanto deciso finora dall’Europa.

Se le idee di Hollande risulteranno particolarmente eterodosse a Bruxelles e a Francoforte, la Francia si troverà in netta difficoltà di fronte al principale alleato, la Germania di Angela Merkel, che ha subito invitato a Berlino (a rapporto?) il neovincitore (Hollande, non Antonio Conte).

Se le idee di Hollande risulteranno particolarmente isolate a Bruxelles e Francoforte, si rafforzeranno nel loro peso e nel loro ruolo da protagonisti a Bruxelles altri paesi, altri leader, primo tra tutti il nostro.

La solitudine in Europa è sempre sinonimo di debolezza e in fondo anche di “colpa”: chiedere a David Cameron in proposito.

Non è detto che la complessità, la lentezza, la gradualità, il procedere mattoncino dopo mattoncino nella costruzione europea sia sempre un bene; non è detto che una così articolata creazione delle politiche europee risulti efficace nel mondo della globalizzazione rapida e soprattutto in un periodo di crisi; resta il fatto che questo procedere per aggiustamenti progressivi e per compromessi molto estesi geograficamente e politicamente impedisce che il cambiamento di un governo o di un presidente in uno dei vari paesi possa davvero pesantemente incidere, nel senso di un revirement, sulle decisioni e soprattutto sulla strategia di medio-lungo periodo di una vasta comunità come quella europea.

Quindi Hollande può certamente appuntarsi sul petto lo scudetto francese, ma per ora non ha diritto alla terza stella e soprattutto deve ancora giocare, l’anno prossimo, la Champions League. Poi il triplete, si sa, cari juventini, è impresa rara, straordinaria e alla portata di pochi, di pochissimi.