Il Pd è in crisi perché la destra ha perso? Quantomeno bizzarro


Foto-8Quasi ogni giorno sull'Unità, giornale fondato da Antonio Gramsci e diretto da Claudio Sardo, c'è almeno un articolo da ritagliare e leggere la sera, a casa. Nelle pagine della cultura, soprattutto, c'è sempre qualcosa di interessante da compulsare.

Qualche giorno fa mi è capitato di ritagliare una pagina intera. Mi aveva colpito il titolo dell'articolo: "La crisi Pd riflesso del ko della destra". E mi aveva colpito perché dentro di me aveva generato la seguente domanda, la seguente sorpresa: "Mo' sta a vedere che il Pd è in crisi perché la destra ha perso?".

Sarebbe come dire che l'Inter è in profonda crisi e va rifondata perché il Milan è arrivato terzo e non ha vinto lo scudetto. Strano. Forse ho capito male.

Dunque ho strappato la pagina e l'ho lasciata qualche giorno sulla mia scrivania. Ogni tanto la leggiucchiavo per vedere se avevo capito bene. "Insomma, la sinistra è così presuntuosa da pensare che anche quando ha perso in realtà è colpa della sconfitta vera, quella della destra?", mi domandavo.

Il tema di quell'articolo del 13 maggio firmato da Carlo Buttaroni, presidente di Technè, è però molto serio e l'analisi approfondita: la sinistra ha perso perché si è compromessa con le politiche neoliberiste della destra, perdendo così "radicamento sociale", politiche peraltro che a dire dell'autore sono state sconfitte perché causa dell'attuale crisi, o almeno così riconosciute dall'elettorato di centrosinistra. 

Però, anche ammesso che questa compromissione con la destra ci sia stata (vedi governo Monti appoggiato assieme al Pdl, scrive Buttaroni), anche ammesso che quelle politiche neoliberiste di destra siano state sconfitte e siano state la causa dell'attuale crisi economico-finanziaria (cosa tutta da dimostrare, visto che fu un democratico della Terza via dalemiana come Bill Clinton a buttar giù il muro tra banca d'affari e banca banca, e dunque a favorire la turbofinanza americana e i suoi pericoli), qualcosa comunque non torna nel ragionamento.

Perché alle elezioni politiche in cui il Pd ha perso ben tre milioni e mezzo di voti rispetto alle precedenti, quelle in cui il centrosinistra si presentava con il "neoliberista" Walter Veltroni, cioè alle urne del 2013, il Pd e il centrosinistra si sono presentati agli elettori proprio con un leader, Pierluigi Bersani, un'alleanza, quella con Nichi Vendola e Sinistra, ecologia e libertà, un portavoce per le questioni economiche come Stefano Fassina e un programma per l'"Italia bene comune" che riproducevano del tutto i modelli socialdemocratici europei, quelli che dovrebbero rassicurare i cittadini in generale e gli elettori di sinistra sinistra in particolare, senza contare i richiami continui alla recente vittoria del socialista François Hollande a Parigi e perfino l'allusione ripetuta a possibili forme di imposte patrimoniali.

Se il problema del Pd è che è andato a destra nel corso degli anni, il Pd dovrebbe essere premiato dagli elettori quando va a sinistra, no? E invece no. Nel 2008, con addirittura il nome di Veltroni nel simbolo, con un'alleanza con Antonio Di Pietro e con la piattaforma "lib-lab" del Lingotto, il Pd prese 12,1 milioni di voto. Nel 2013, con Bersani candidato ma senza il nome nel simbolo per non essere troppo leaderisti (cioè di destra), l'alleanza con Vendola e la piattaforma social-dem dell'"Italia bene comune", il Pd ha preso 8,6 milioni di voti, cioè molti molti in meno, per di più dopo che il fronte interno bersaniano aveva sconfitto alle primarie la ricetta "neoliberista" di Matteo Renzi

Ma c'è stata in mezzo la crisi, dice. Appunto, nonostante la voglia di protezione, il centrosinistra socialdemocratico non ha vinto e convinto.

E' un po' strano dare la colpa della non vittoria di chi è arrivato primo ma di troppo poco, e perdendo milioni di voti rispetto all'ultima volta, a chi è stato sconfitto, la cosiddetta destra del partito o del paese, no? Cioè, in estrena sintesi, sarebbe assurdo dire che Bersani ha perso perché ha perso Renzi, no?

Il secondo problema del Pd, dunque, dopo il mal di capo, ovvero l'indiosincrasia eccessiva nei confronti del concetto di leadership, pare essere la scarsa propensione all'autocritica, il debole intuito (o coraggio) nella diagnosi dei propri mali. 

Anche perché, a ben vedere, dove sono andati i voti del Pd del 2008 alle elezioni del 2013? Secondo gli stessi dati della pagina dell'Unità, sono andati soprattutto al movimento di Beppe Grillo (il 14,3 per cento) e le polemiche sullo Ius soli e su Equitalia e il fisco sono lì a dimostrarci che è difficile catalogare Grillo come "sinistra socialdemocratica". Semmai forse sarebbe stato saggio proporre, come voleva Renzi, l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, peraltro già sancita dagli italiani in un referendum radicale nel senso di pannelliano.

Solo il 2,2 per cento dei consensi è andato alla sinistra doc di Antonio Ingroia, mentre il 4,3 ha preferito la coalizione centrista di Scelta civica, Udc e Fli, il 4,1 per cento se lo sono divisi, ma appunto se lo sono divisi, Sel (che peraltro alle elezioni non ha certo avuto il successo sperato, dunque anche qui un segnale che forse non a sinistra deve andare il centrosinistra) e Centro democratico, mentre gli ex elettori del Pd questa volta astenuti sono stati l'11,2, un milione e 300 mila elettori (un po' meno della metà di quelli persi) evidentemente delusi dall'offerta in cabina elettorale.

  • Nicola Fusco |

    Danie’, bello di mamma, riappacificati col cervello!
    Il PD sarebbe, secondo te, un partito che, eminentemente centrista, soffre nello sbilanciarsi a destra, ma ancor più a sinistra… eppure, la maggior parte dei transfughi, non è andato né a destra né a sinistra e neppure al “centro” (chiamiamolo così), bensì nel M5S…
    A me, le conclusioni di tutto ciò, paiono lampanti, ma sarò così perfido da non dirtele: sforzati un po’!

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