Che cosa insegna il pugno (in pancia) di Bossi a Maroni


Maroni-tf-ipp-258Che cosa insegna il conflitto a distanza tra la vecchia e la nuova Lega nord? Che cosa dimostra il duello tra il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, e il senatur, Umberto Bossi? Che cosa si coglie nel malinconico declino (responsabile e di buon governo) del movimento padano sempre più Csu e sempre meno Pontida? Che cosa suggerisce la tentazione di Flavio Tosi di andare oltre la Lega, di candidarsi a essere il Matteo Renzi (del resto sindaco di un capoluogo di provincia lo è) di un nuovo centrodestra aberlusconiano e più moderato che secessionista?

Bossi, nell'intervista del 31 maggio al Fatto quotidiano, liquida la questione con una delle sue battute: Maroni "ha trasformato i nostri ideali in burocrazia". C'è dell'astio e si vede. Ma la battuta coglie un punto. Va bene essere un autorevole ed efficace ministro dell'Interno, va benissimo essere un fuoriclasse della tattica politica, va bene saper cogliere l'attimo per "pugnalare" il padre-capo e prenderne il posto (in politica funziona così, anche Renzi se ne sta accorgendo), va benissimo conquistare il grattacielo più alto della Lombardia, ma poi la politica è anche pancia e la pancia spesso è anche cuore. E la Lega senza pancia e cuore che cos'è?

Non a caso Bossi, che con la pancia ha fatto politica e raccolto voti per due decenni e con la testa ha governato la Lega per due decenni, nell'intervista al Fatto salva un maroniano doc come Matteo Salvini, uno che (anche utilizzando i social network meglio di molti altri politici) non si è mai dimenticato della pancia. Dice Bossi: "E' uno bravo, su cui scommettere. Non ha mai lasciato il territorio, i militanti, ci mette la faccia". E la pancia.