Un governo di grande coalizione, peraltro senza troppe larghe intese e senza un programma definito e sottoscritto dai partiti, crea inevitabilmente spinte centripete. Così il Pdl rischia continuamente di spaccarsi tra moderati filo-governativi di ispirazione neodemocristiana e movimentisti liberal-liberisti. Così in Scelta civica il fondatore, il senatore Mario Monti, lascia e si iscrive al gruppo misto perché non riesce a guidare la sua creatura politica in direzione critica verso la legge di stabilità (e verso manovre, nei due sensi, neodc). Così nel Pd sia il premier, Enrico Letta, sia il futuro candidato premier, Matteo Renzi, vengono dalla tradizione democristiana, peraltro come il vicepremier e leader delle cosiddette colombe del Pdl, Angelino Alfano.
Inoltre è attesa una sentenza della Corte costituzionale che potrebbe, paradossalmente, correggere la legge elettorale rendendola, involontariamente, più proporzionale. E nel proporzionale il centro è una calamita e la Dc un modello da rimpiangere, secondo qualcuno.
Un'operazione, ma più che altro una vocazione, una discussione, lenta ma inesorabile, in questa direzione va avanti da tempo in alcuni ambienti politici romani e ha come ispiratori e consigliori cavalli di razza della prima Repubblica che da tempo coltivano dialoghi concreti con quel che della Dc è confluito un po' in tutti i partiti.
Non è detto che sia una vera e propria strategia, certamente è una tentazione fortissima e un mondo che, pensando al dopo Berlusconi e forse dunque anche dopo bipolarismo, non vuole farsi trovare impreparato. Senza casa. Anche per questo, forse, Mario Monti ha sbattuto la porta.