Perché #Gomorra (La serie) va vista

“Devi entrare in un mondo ‘altro’ e riconoscere che poi è il tuo mondo”. La miglior dote del Roberto Saviano scrittore è la capacità di sceneggiare la mala realtà. Sa trovare l’aggettivo, il sostantivo, sa essere romanzo con il racconto della cronaca, calibra gli aneddoti, i riti, le usanze, la passione e la freddezza, il fascino del bene e del male impastati in una commedia disumana che trasuda dipendenza dalla parte più brutta e flaccida del potere. Questa capacità propria dei suoi articoli è il sottotitolo costante e subliminale di Gomorra – La serie, in onda da stasera alle 21 e 10 per 12 episodi su Sky Atlantic. Quello che è riuscito, nella serie, è portare una telecamera all’inferno, a Gomorra, dove trovi anche alcune delle stesse debolezze del mondo emerso ma in una melma di pazzanghere acide che sciolgono nel nulla vite e ti fanno capire fin da subito che quello è un mondo sommerso, di sudore e piscio, di divani laccati oro continuamente rimandati indietro per paura che nelle molle si nasconda il tradimento. Il tradimento, infatti, muove (o ferma) tutto, più ancora dell’avidità e dell’arroganza e del controllo del territorio. Il tradimento è la chiave di volta del racconto come della battaglia tra il bene e il male, dalla mela del serpente in qua. Il tradimento è l’ambiguo alleato di ogni cosca, il campo da gioco di ogni faida. Così tre registi (Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio Cuppellini), bravi attori, belle musiche mettono in scena una lezione di gestione del potere: sei potente se sai davvero aiutare gli altri a resistere alla tentazione del tradimento, sei capo se impedisci ai tuoi uomini e alle tue donne di coltivare l’istanza della rivincita nascosta e fedifraga. Se no, no. Perdi. Sì, d’accordo, ci sono luoghi (comuni) che forse hanno qualche ragione a non voler essere sempre dipinti a tinte sotterranee. Sì, d’accordo, c’è un’organizzazione criminale, anzi, più organizzazioni criminali che mercanteggiano liquami in palazzoni fetidi e fanno trader in grattacieli azzimati. Sì, d’accordo, ci sono perfino i clichè del ricambio generazionale, del figlio un po’ sdraiato che vuole far felice il padre e del padre che gli regala la moto rossa, dell’amico ucciso, di Al Capone fermato per un’inezia, ma oltre il già visto, c’è soprattutto un ritratto psicologico violento e sincero della grande corsa all’odio. Odiare per sopravvivere è la logica clanica, ma l’odio alimenta il tradimento che mina alle radici i clan, il Sistema. Per questo, dice sempre Saviano, “il fatto che anche i criminali che raccontiamo abbiano un lato ‘umano’ non è che li renda uomini ‘giusti'”. Ma ci fa sperare di poterli fermare.