La strategia dovrebbe essere più o meno questa: riforma del lavoro (con pistola della fiducia poggiata sul tavolo della veloce trattativa con le parti sociali e la minoranza del Pd), legge elettorale (senza, ma più probabilmente con Silvio Berlusconi), scissione a sinistra del Pd che ormai è vagheggiata da troppo tempo per non accadere e che poi magari prende i voti in uscita da Grillo e dalla Tsipras all’amatriciana o con quelli si allea (come auspicato oggi da Marco Travaglio), elezioni in primavera, a semestre europeo portato a casa, assieme a un po’ di tfr in busta paga, a qualche riforma e a qualche pugno sul tavolo di Bruxelles e di Berlino (ma davvero Angela Merkel farà a Renzi il regalo propagandistico di snobbare o peggio respingere l’incontro sulla crescita e il lavoro dell’8 ottobre a Milano? Ma allora al sindaco d’Italia va proprio tutta l’acqua per l’orto). Poi così, al massimo a giugno, il renzismo unto dal signor appuntamento elettorale sceglie il suo presidente della Repubblica da Palazzo Chigi con una maggioranza più sua e più solida. Ovviamente la riforma (e le nomine) Rai prima della campagna elettorale, ça va sans dire.
Perché non dovrebbe farlo, tutto ciò, Matteo Renzi?