Tutto ciò che non è renziano spinto o comunque doc nel Partito democratico si sta aggregando su un’idea: stop al doppio incarico di premier e di segretario del Pd. Ciò accade in vista prima delle amministrative (2016) e poi del Congresso del partito (2017). Lo si vede chiaramente nelle frasi, raccolte da Monica Guerzoni per il Corriere della Sera, pronunciate da Cesare Damiano, ex ministro della minoranza del Pd fedele a Renzi e che fa capo dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: “Il partito ha bisogno di una cura quotidiana cui non può dedicarsi un leader che deve governare il paese”. Ma lo si intravede anche da alcune considerazioni scritte da Matteo Richetti, cattodem, in una lettera allo stesso Renzi: il partito ha bisogno di un rilancio profondo e di una squadra forte con un mandato pieno. Che la sinistra Pd e bersaniana sia contraria al doppio incarico lo si sa da tempo ed era stato Massimo D’Alema a lanciare l’assalto al doppio incarico quando a settembre aveva detto: “Non è un fatto positivo che premier e segretario del Pd siano la stessa persona”. Renzi sa che il doppio incarico è l’unico, vero antidoto alla ventennale mania del principale partito del centrosinistra: segare le gambe della sedia del proprio leader. Ma anche per questo deve assicurarsi un buon risultato alle prossime amministrative: un brutto risultato, forse, non metterebbe in crisi la sua leadership di governo, vista l’assenza di reali alternative, ma certamente rilancerebbe le istanze di chi dice: serve qualcuno che si prenda cura a tempo pieno del partito e soprattutto del partito sui territori.
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