Se stasera o domani volete andare al cinema, andate a vedere Paterson. Ovviamente non sono in grado di addentrarmi in riflessioni critico-cinematografiche, ma è un film che vale la pena di essere visto e di essere visto a Natale perché è la storia di una non storia, cioè della nostra. Paterson racconta la storia che vogliono raccontare Paterson, la sua compagna, il suo cane, l’oste dal volto blues, il capo indiano dell’Atm locale.
Paterson non ha alcuna trama ma ha una storia potentissima perché la trama siamo noi, nessuno si senta escluso. Il problema di tutto questo passaggio terreno è molto semplice, in fondo. La vita, certo, è complicata, ma la realtà è semplice. Come imparare a suonare la chitarra, cucinare un cupcake, decorare una tenda, bere una birra, innamorarsi, essere disinnamorati, alzarsi grazie alla sveglia biologica.
Non è la storia o la trama a essere poetica, siamo noi a rendere poetica qualunque storia e qualunque trama. Basta avere un taccuino pronto, una pagina bianca, una biro da accendere schiacciandola rapidamente d’istinto contro il petto e una panchina davanti a un ruscello con un ponte.
Ostinarsi a cercare comporta il rischio di non trovare. Ostinarsi a correre comporta il rischio di non vedere la panchina. Ostinarsi a chiedere comporta il rischio di non ascoltare la nostra risposta.