Ci sono due modi per essere barneyani, cioè praticamente geniali. Il primo, quello di Barney come quello di Mordecai, è quello di essere disincantati e felicemente approssimativi. Il secondo, quello del figlio di Barney come del figlio di Mordecai, è quello di essere precisi e appassionati. Christian Rocca è un giornalista che appartiene alla seconda categoria. Rocca può star male per settimane per un errore in un suo pezzo, cosa peraltro capitata – credo – due volte nella sua carriera. Ma è appassionato. Sembrerebbe, per stile e carattere, il giornalista meno adatto a raccontare Barney. Invece è il giornalista perfetto per il ruolo. Per mettere ordine dove c'è caos, e passione dove c'è cinismo. Rocca credeva di scrivere un saggio, forse, invece gli è scappato fuori il romanzo reale, una forma nuovissima di racconto. It's all about us journalism? Forse. Racconto nascosto di passioni personali trasformate in cronaca letteraria? Sicuramente. Se a un giornalista preciso e appassionato scappa la frizione del romanziere, i casi sono due: o è un disastro o è un esperimento gioioso e felice. Anche qui Rocca ricade nella seconda categoria. Si butta giù d'un fiato "A spasso con Barney", di Christian Rocca (Bompiani), altro che Macallan. I passaggi sono tre: dal personaggio, Barney, all'autore, Mordecai, a noi. Liscio come una palla di bliardo perfettamente imbucata.
Ps. L'autore di questo post è stato quasi compagno di banco di Rocca al Foglio ed è compagno di banco al Sole 24 Ore. E ne va fierissimo.
Ps. II. L'autore di questo post l'altra sera tornava a casa in metropolitana con sotto braccio il libro di Rocca e quello di Tony Blair, "Un Viaggio" (Rizzoli). Ed era felice come un bambino.