Uno dei protagonisti della fase "Casa Banca" della recente storia americana, cioè il periodo in cui la politica e la finanza degli Stati Uniti hanno serrato ancor più i ranghi per salvarsi a vicenda, è stato sicuramente Henry Paulson, già ai vertici di Goldman Sachs e segretario al Tesoro di Bush e creatore del piano di salvataggio della finanza poi ereditato e allargato dal presidente Obama e da Tim Geithner.
Come diverse ricostruzioni giornalistiche hanno dimostrato, Paulson ha rappresentato sicuramente l'anello di congiunzione diretta (soprattutto telefonica, nelle ore dello showdown) tra la politica di Washington e i palazzi di Wall Street. Nella drammatica fase del post fallimento di Lehman Brothers è stato il garante, al prezzo di stress pazzeschi e pillole da prendere, della transizione tra il baratro e lo scenario problematico. Dunque, comunque la si pensi, qualche merito ce l'ha eccome. Però, come bilancio assolutamente sommario, si può dire che Paulson, assieme al governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha salvato Wall Street, ma non ha certo aiutato Main Street, l'economia reale. Il diluvio di liquidità azionato dalla Fed e dal Tesoro ha reso di nuovo fertili i mercati finanziari, ma non ha avuto gli effetti sperati in termini di ripresa e soprattutto di occupazione. Così Obama, a poco più di un anno dalle presidenziali, si ritrova nei guai e nel frattempo ha cambiato tutta la sua squadra dell'economia tranne Geithner, che però ora è dato in partenza.
La cosa interessante, almeno per me, era capire che fine avesse fatto, Paulson. Avevo un vago ricordo di uno spiacevole deprezzamento della sua abitazione di Washington (effetto sbolla?). Ricordavo poi di aver per l'appunto letto da qualche parte racconti precisi delle ore più tese della crisi finanziaria, ore fatte di continue telefonate tra Paulson e i banchieri, di preghiere e di sonniferi da ingerire. Ma che fine ha fatto Paulson?
Grazie a Google scopro che ha deciso di tornare a casa. Né a Washington, la politica, né a New York, la finanza, si sentiva a casa. "I'm in Chicago for a reason – ha spiegato Paulson – We didn't go back to New York, where I ran Goldman (Sachs). We didn't stay in Washington. This is my home. It was very important to me to affiliate with a Chicago institution".
Ecco, Chicago. Non vuol dire assolutamente nulla, ma mi fa specie pensare che l'ironia della sorte abbia voluto che Paulson, uno dei principali fautori del più recente keynesismo finanziario, si senta a casa a Chicago, all'Università di Chicago, città natale della scuola monetarista di Milton Friedman.
P.S. Paulson sta ultimando un libro sui rapporti tra Stati Uniti e Cina. A Chicago, oltre a insegnare, vuole proprio occuparsi dello studio delle relazioni tra Washington e Pechino.