Si torna, dopo anni, a parlare di privatizzazioni. E la cosa è buona e giusta da molti punti di vista. Il più banale è che il modo migliore per incassare un po' di soldi è vendere qualcosa. Così lo Stato, prima di tassare i contribuenti ancora di più e prima di tagliare servizi o altro, dovrebbe pensare a come far cassa vendendo ciò che non è indispensabile sia statale.
Ma c'è una ragione poco enfatizzata eppur fondamentale: le privatizzazioni sono il modo migliore per tagliare i costi della politica e per riportare deputati e senatori a occuparsi sempre e soltanto del legiferare piuttosto che del nominare in questa o quella azienda pubblica o para pubblica. Basta leggere qualche ricostruzione delle inchieste giudiziarie di questi tempi per capire benissimo di che cosa si tratta. Stesso discorso, ovviamente, vale a tutti i livelli dell'impianto istituzionale: regioni, province, comuni. Se lo Stato non gestisce, i rappresentanti del popolo non gestiscono e soprattutto non nominano. Questo tipo di argomento, soprattutto in questo periodo, dovrebbe trovare sostenitori anche in quei settori dell'opinione pubblica, soprattutto di sinistra, tradizionalmente scettici nei confronti delle privatizzazioni.
Privatizzare è il modo migliore per disboscare quel sottobosco della politica che tanto ci costa in termini di efficienza della macchina dello Stato, di credibilità e indipendenza della classe politica e di pazienza di fronte a chi chiede sacrifici per tenere, giustamente, in ordine i conti pubblici.