All'inizio di questa grave turbolenza globale, riferendosi soprattutto allo scenario statunitense, il consigliere del presidente Barack Obama, Rahm Emanuel, spiegò che non era il caso di "sprecare" la crisi. Intendeva dire che la crisi poteva dare alla leadership americana il destro per fare alcune riforme indispensabili comunque e non soltanto per superare il brutto momento della finanza e dell'economia. E' discusso e discutibile se l'Amministrazione Obama ci sia o no riuscita, a fare le riforme giuste, per ora la percezione più diffusa propende più per il "no" che per il "sì", ma il messaggio – non sprechiamo la crisi – era ed è giusto. Eccolo:
Le crisi rappresentano sicuramente momenti di difficoltà, ma come mi ha detto spesso un caro amico: grandi difficoltà grandi opportunità. In questo caso, l'opportunità di ripensare ai sistemi di welfare, alle regole della finanza e al futuro delle nostre economie alle prese con i nuovi mercati emergenti.
Due giorni fa, il Sole 24 Ore ha pubblicato un appello di cento e ora forse più esponenti della politica e dell'economia europea che in sostanza dicevano la stessa cosa: cara Europa, se vuoi salvarti, non sprecare questa crisi, ma fa ciò che puoi per riformarti, per rafforzare l'euro e aiutare gli europei.
Il passaggio più significativo di questo appello è forse quello in cui si sottolinea – a ragione, a sacrosanta ragione – che da questa crisi si esce con una soluzione europea e non con tante soluzioni nazionali.
Eccolo:
"Facciamo appello ai Parlamenti dei paesi dell'Eurozona affinché riconoscano che l'euro richiede una soluzione europea. La ricerca di soluzioni a livello nazionale può solo portare alla dissoluzione".
Le istituzione europee, però, nascono e agiscono in gran parte come emanazione di quelle nazionali, eccetto per il Parlamento europeo, che ha però più che altro un potere codecisionale e non decisionale in sé. Non c'è – Parlamento europeo a parte, appunto – istituzione europea espressione diretta del voto dei cittadini europei.
Ciò provoca da una parte il persistere degli interessi nazionali come obiettivo primo e unica via di comportamento per i governi nei consessi sovranazionali e dall'altra il necessario interventismo, teso a colmare il vuoto della politica, delle istituzione più tecnocratiche – nel senso buonissimo del termine – come la Banca centrale europea.
L'Europa – spiegano i sottoscrittori dell'appello – ha certamente bisogno di soluzioni rapide ed efficaci, dunque parlare di riforma "politica" dell'Unione non deve essere una scusa per allungare i tempi delle azioni da intraprendere. Ma, visto che ormai anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto che non è un tabù parlare di riforma dei trattati europei, non sarebbe male iniziare a immettere nel dibattito generale temi legata alla rappresentanza diretta dei cittadini europei.
Se dobbiamo andare verso una politica economica comune, o almeno davvero condivisa, non possiamo non iniziare a mettere in ,per l'appunto, la politica. E, ricordando il principio "no taxation without representation", si può iniziare a pensare che il Parlamento europeo da solo, come espressione del popolo europeo, non sia più sufficiente.
I governi dei vari paesi europei sono (più o meno) diretta espressione dei singoli popoli, non si può dunque nemmeno biasimarli troppo se puntano a fare gli interessi dei loro diretti elettori, soprattutto pensando ai tempi, che quasi mai vanno d'accordo, dei cicli elettorali e dei cicli economici.
L'Europa non sprecherebbe questa crisi se iniziasse a riflettere su come darsi una serie di istituzioni dirette espressioni del popolo, che si vuole prima o poi unito, da cui è nata o almeno da cui – si spera – sta nascendo.