Il più grande spettacolo dopo il Big Bang era l'attesa se lo diceva o no: "Mi candido". Matteo Renzi, invece, con il gusto della sorpresa, la noia per le solite logiche e la voglia di giocare anche con il (nuovo) linguaggio della politica ha provato a candidare "qualcosa, invece di qualcuno". Retorica, diranno, ma il sindaco di Firenze, alza le spalle e tira dritto, chiamando a raccolta sul web e non solo.
Questo qualcosa lo ha chiamato WikiPd, cento proposte concrete, "discutibili", in rete, per le strade e nelle case. Ha dato tre mesi a tutti per capire dove va l'Italia, questo governo e queste opposizioni, e in questi tre mesi ha invitato tutti i presenti, lì o in streaming (più di 500 mila telespettatori), ad alimentare le primarie delle idee, nell'attesa di capire come si svolgeranno le (tanto care a Renzi e non solo) primarie delle persone.
Renzi parla come mangia, ma sembra parlare non soltanto per mangiare, piuttosto per fare. Questo lo rende simpatico, naturale e ovviamente anche estraneo alle logiche consolidate ("consolidate" peraltro è di per sé parola orribile). Ammette con candore che il cesto di frutta sul tavolo è il "più brutto della storia", non nasconde il simbolo Apple del suo computer, dice: "Non siamo personaggi in cerca d'aurore". Cita Gaber e Dostoevskij, legge una poesia. Da sinistra tiene a sottolineare la distinzione tra cittadino e consumatore, e proclama: "Reclamiamo il futuro"; "Il debito pubblico è la cosa più ingiusta e immorale", soprattutto nei confronti dei bambini.
"Rivendichiamo la bellezza per il nostro futuro", ricordandoci che "i bambini sono i soggetti della politica", ma "non prendiamoci troppo sul serio", perché il problema è che "diamo troppo spazio all'invidia anziché all'ammirazione". Troisi, poi, sarà pure anni 80, ma quando dice "mo' me lo segno" di rimbalzo al "ricordati che devi morire" rappresenta il giro di boa dal pessimismo all'ottimismo, dal passato al futuro. E sarà pure teatrale, ma può suonare credibile. Soprattutto auspicabile.
Certo, Renzi ha anche studiato, sa che bisogna parlare di futuro per vincere, sul mercato come alle elezioni. Ma che male c'è? Che un uomo politico utilizzi la comunicazione politica (moderna) è ovvio, non sbagliato, no?
"La giustizia sociale nasce da una società dinamica". Il sindaco di Firenze tiene a citare soprattutto gli interventi di Alessandro Baricco e Luigi Zingales. Ma non dimentica di rispondere allo scrittore Edoardo Nesi che gli aveva detto: "Tocca a te", e gli risponde con un reciproco: "Tocca a te", quasi collettivo. Perché poi Renzi usa il "tocca a te" come espediente retorico per la parte più coinvolgente del suo discorso: tocca a te mamma che non ne puoi più, tocca a te imprenditore, tocca a te dipendente pubblico accettare l'idea che se ti viene chiesto di lavorare un po' di più è una buona notizia, potrai essere valorizzato.
Il volontariato – presente anche nella biografia di Renzi – è sottolineato con fierezza: "Noi siamo già una Big Society", e il riferimento è alla cornice ideologica della dottrina Cameron (il primo ministro conservatore britannico). L'America è sempre sullo sfondo, come ottimismo, dinamismo e Steve Jobs, ci sono anche le Torri gemelle che nella sigla tornano su. C'è l'appello a rendere il nostro paese amante del rischio più che della rendita, per "riuscire a ridare valore a chi vuole fare impresa".
"Non so se estingueremo i dinosauri – dice Renzi, ricordando peraltro che dal Big Bang alla scomparsa degli antichi e grandi animali passò troppo, davvero troppo tempo – ma estingueremo i debiti, smetteremo di pensare che si possa vivere oggi lasciando da pagare" a chi verrà domani. "Il problema non è chi va all'estero, è che nessuno viene in Italia".
"Non è possibile che cambino i simboli di partito ma restino le stesse facce". Però le risposte alle polemiche, dentro e fuori dal centrosinistra, dalla Leopolda arrivano anche per immagini e con qualche autoironia: "Le noccioline da Super Pippo le lasciamo ai fumetti", "La storia nuova la scrivono i pionieri, non i reduci", "L'Italia è l'unico posto dove si chiedono tutti i giorni interviste ai politici e il segno del declino è che le chiedono anche a me". Per questo, dice Renzi, (per ora) candidiamo qualcosa, non qualcuno, perché "sarebbe facile stare al calduccio della battaglia generazionale", ma è meglio fare una campagna per riportare l'Italia al suo ruolo di "super potenza culturale", cioè a essere "la patria della bellezza, non la casa della volgarità".