Dicono che Nicolas Sarkozy doveva dire di più sull'Europa nel discorso di ieri a Tolone. Però il presidente francese – si sa – non poteva farlo. Perché la soluzione europea non passa per una proposta nazionale, per di più avanzata in un appuntamento semi-elettorale.
Anzi, finora sono stati gli interessi nazionali a frenare la soluzione europea alla crisi, soprattutto quando in ballo ci sono gli interessi dei paesi e delle economie più grandi del Vecchio continente. Ecco perché – per dirla con parole forti – Altiero Spinelli si rivolta nella tomba e negli Stati Uniti si è diffusa la sfiducia nei confronti della tenuta della moneta degli alleati europei.
Sarkozy, anche se forse elettoralmente non paga, ha fatto bene restare sul vago ma a essere chiaro sulla posta in gioco: l'Ue rischia di essere spazzata via.
Oggi poi parla Angela Merkel. E anche il cancelliere tedesco non potrà dire più di tanto, mentre il primo ministro britannico, David Cameron, arriva a Parigi per discutere proprio con Sarkozy. (Anche il fronte inglese è caldo, come si è notato dalle dichiarazioni di ieri sull'eventualità di default dell'euro del governatore della Banca centrale di Londra, Marvyn King, e anche su questo fronte la crisi non andrebbe sprecata: discutiamo su come coinvolgere la Gran Bretagna, invece di passare sempre il tempo a trovare il mondo di tenerla vicina ma senza farla partecipare del tutto. Certo, è Londra che vuole tenere un piede dentro e un piede fuori, con la tecnica dell'"opt out", ma le crisi servono proprio per rivedere le prassi consolidate ma non proficue).
La verità è che quando non ce n'era bisogno, ovvero quando tutto andava o sembrava andare bene, l'europeismo di maniera dilagava (e non era utile alla causa). Oggi invece che servirebbe un po' di sana propaganda europeista quasi nessuno ha il coraggio di avanzare un vero progetto comune, uno scatto generale. Questa sì è una responsabilità (finora negativa) di Merkel e Sarkozy.
Il vertice decisivo, quello dell'8 e 9 dicembre, preceduto dall'incontro tra Merkel e Sarkozy lunedì prossimo, dovrebbe concludersi non, come al solito, con proposte che dovranno poi essere attuate nei mesi a venire e soprattutto non con soluzioni ultratecniche di ingegneria finanziaria. Ma con una chiara proposta politica nata da un grande compromesso tra gli stati membri.
Nel raggiungimento di questo compromesso un ruolo decisivo può giocarlo un paese come l'Italia, grande perché fondatore ma vicino alle zone in difficoltà per ragioni economico-finanziarie.
Se invece non è alle viste nulla di tutto ciò, sarebbe meglio che le cancellerie europee non alimentassero le aspettative (soprattutto dei mercati) nei confronti dei vari vertici che ogni volta si presentano risolutivi senza mai esserlo.