Non sono mai riuscito a leggere un libro alla volta, è più forte di me. Dipende dal fatto che non ho sempre gli stessi gusti, magari un giorno in un certo momento ho voglia di leggere un saggio, ma poi, dopo un'ora, cerco avidamente una pagina da romanzo e magari la sera, prima di dormire, preferisco un racconto.
Dunque, aperti, con vari tipi di segnalibro (vanno forte i biglietti dei cinema, ma mi vanto perfino di avere un tagliando di un'Aida interrotta dalla pioggia, cosa rara, l'Aida, più che la pioggia), ho spesso diversi volumi. Qualcuno non sarà finito o lo sarà quando, nonostante Monti/Fornero, sarò vicino alla pensione, ma intanto sono aperti.
Questo vizio – lo considero tale, perché sicuramente sarebbe meglio, essendo uomo, fare ciò che sappiamo fare: una sola cosa alla volta, un solo libro alla volta – questo vizio, dicevo, ha un'implicazione positiva, cioè la possibilità, ovviamente folle, di cercare affinità elettive tra le letture in corso, coincidenze strane e misteriose congiunture astralo-letterarie. In sostanza, mentre leggi un libro trovi cose simili o curiose afferenze con l'altro appoggiato sul comodino e magari buono per la sera successiva.
Ultimamente mi è capitato di leggere assieme due libri. Il primo s'intitola "Il personalismo" ed è di Emmanuel Mounier. Il secondo s'intitola "G. K. Chesterton – L'enigma e la chiave" di Ubaldo Casotto, amico e collega. In realtà, sempre assieme, sempre sul comodino, in questo periodo, c'è stato anche un altro Emmanuel, Emmanuel Carrère, "La mia vita come un romanzo russo". Questi libri c'entrano tra loro? I primi due ovviamente sì, e basterebbe metterli vicini per dare un'idea. Il terzo? Forse.
Mounier spiega – almeno questo io capisco – la differenza tra "individuo" e "persona". E della persona indaga il mistero naturale dell'essere infinitamente finito, cioè inspiegabilmente anche altro rispetto alla natura e alla ragione, intesa soltanto come comprensione scientifica della realtà. Inspiegabilmente? Beh, per spiegarla serve il mistero della ragione intesa come logos, dunque della ragione che si serve di tutti gli strumenti utili, fede compresa.
Casotto è invece prima di tutto un giornalista, dunque racconta più che spiegare e lo fa con la freschezza di un appassionato, l'impegno di un padre e lo stupore di un figlio. Racconta Chesterton, collezionando le citazioni migliori e legando a un filo tutta l'opera dello scrittore, ma in realtà svela un enigma. E' un enigma fondamentale, che riguarda tutti, ma soprattutto uno; è un enigma molto più misterioso di un giallo di Padre Brown, molto più significativo di una formula chimica, sicuramente meno studiato del sorriso della Gioconda di Leonardo da Vinci. E' un enigma ma in realtà è un interrogativo semplice e dunque basilare. Con Chesterton si arriva a rispondere a una domanda che un adulto saggio come un bambino si fa pensando a un creatore. Che cosa ci ha nascosto? Che cosa ci nasconde? E il bello è che la risposta c'è e riguarda un sentimento, una parte della persona Dio. Ma non si può svelare il finale di un giallo, va letto.
E Carrère? Che cosa ci fa tra Chesterton e Mounier. Probabilmente poco. Però vive il suo romanzo russo nello stesso clima della persona di Mounier e della Persona di Chesterton, ovvero si dimena tra quello che sappiamo di essere e quello che non sappiamo o non vogliamo sapere di essere. Anche in Carrère sta tutto nel finale, anche per Carrère è tutto da vivere: nel sistema duale della nostra esistenza possiamo scegliere altri diversi, ma non possiamo immaginarci soli, senza altri. Basta questo per sminuire l'individuo, il singolo, a favore della persona, l'io in relazione con l'altro e con l'Altro e con la natura. Basta questo per "allargare i confini della ragione", per tornare intelligenti e stupiti come Tommy, figlio di Ubaldo, di fronte alla pura evidenza: guarda, mamma, è rosso!