Che più che l'Europa oggi ci sia la "Geuropa" o la "Geuropania", che non è affatto la Pomerania del film di Charlie Chaplin, ma un'Europa che ha una forte trazione teutonica, con contorno francese, lo dimostra perfino la preoccupazione dell'ex ministro degli Esteri ed ex vicepremier (non a caso tedesco) Joschka Fischer: "Continente germanizzato idea malsana".
Ha poi ragione da vendere lo stesso Fischer quando, in un colloquio con il Corriere della sera, spiega la vera verità: "L'Unione europea non può sopravvivere senza una vera unione politica". Altiero Spinelli, stavolta, apprezzerebbe.
Ed è proprio questo il punto. Se la Gran Bretagna fosse stata costretta al "no", all'uscita, al restare come molti osservatori dicono "isolata" dalla nascita dell'Unione politica ed economica europea, ovvero dalla creazione degli Stati Uniti d'Europa, allora ci sarebbe da dire: se l'è cercata, perfida Albione, è un'esclusione naturale, indispensabile per dare vita alla patria europea.
Ma un'Europa che rinuncia alla Gran Bretagna per questioni di revisione dei conti, di alta ragioneria applicata alle sorti della moneta unica, è un'Europa più debole, non più forte, meno inclusiva e più chiusa in se stessa (vedi anche lo strano rinvio imposto alle speranze serbe di ingresso).
In poche parole. Se Londra è fuori ma a Bruxelles nascono gli Stati Uniti d'Europa, questa è una vittoria dell'Europa e un errore di Londra. Invece: Londra è fuori e a Bruxelles si decide semplicemente di rafforzare i criteri di Mastricht e la decisione è presa soprattutto da coloro, francesi e tedeschi, che furono tra i primi a violare i criteri di Maastricht per il rigore al momento della crisi, quando faceva comodo a loro.
La fredda ragioneria eurocratese ancora una volta allontana il sogno di una vera Unione politica, forse rassicura i mercati, però da subito è solo in grado di promettere l'approvazione di un nuovo trattato fatto soprattutto di regole finanziarie, di supervisione dei tecnici nei confronti dei bilanci approvati dalla politica.
Eurobond? Non ora, si rinvia. Banca centrale europea con pieni poteri da banca centrale, stampare moneta compreso? Non ancora, si vedrà. Nascita di un chiaro, solo e plenipotenziario Mister Euro? No, anzi, tornano i balletti di competenze tra Consiglio, Commissione, Bce, Eurogruppo e rispettivi presidenti. Chiarimenti sulla governance europea generale? Poco o nulla. Passi concreti e immediativi verso un mercato comune del credito? Mah, non sembra.
La cosa più curiosa del momento europeo è il risvolto che riguarda Nicolas Sarkozy. Abbia dato o no la mano a Cameron, Sarkozy è uno degli sconfitti dell'attuale scenario continentale, forse "lo" sconfitto. Era un fiero "sovranista" che non voleva cedere nemmeno uno spicchio di sovranità in più a Bruxelles, visto anche il fallimento del referendum francese sulla nuova Europa. La Francia è da sempre una nazione fautrice degli "opt out", del chiamarsi dentro ma anche fuori, basta pensare al suo rapporto con la Nato. Parigi ha sempre trattato e deciso da pari a pari con Berlino, anche quando le forze era dispari (vedi la fase Mitterrand-Kohl) e ora si ritrova a fare il junior partner di una coalizione a guida merkeliana.
In Francia, nonostante il tentativo di dipingere, magari anche non stringendo una mano, come nuovo capro espiatorio Londra, dunque nonostante lo sforzo di spostare l'attenzione, l'obiettivo, si va diffondendo una certa irritazione per la sovraesposizione tedesca nelle decisioni continentali. Sarkozy, dicono alcuni osservatori, può però dire che ha vinto almeno nel metodo: l'idea di andare avanti anche se un paese come la Gran Bretagna non ci sta è un inizio di visione intergovernativa dell'Europa. Vasto era il programma, scarso è il bottino per un Sarkozy in partenza per una per nulla scontata gara elettorale.
Se i socialisti francesi vorranno – e François Hollande, futuro sfidante presidenziale, è scaltro e mitterrandiano abbastanza – potranno sul dossier europeo fare molto male al fronte neogollista, richiamandosi proprio alla fase Mitterrand-Kohl per dire quanto poco incisiva sia stata invece la leadership europea di Sarkozy.
La leadership tedesca, invece, era ed è riconosciuta da tutti in Europa, ma non solo. Poche ore prima del summit salva-euro, infatti, era squillata la solita telefonata tra Washington e Berlino, era Obama che chiamava Merkel, come ha sempre fatto prima di tutti gli appuntamenti importanti europei. C'è da credere comunque che forse Sarkozy non lo farà spesso, ma Obama continuerà certamente a telefonare a David Cameron.
P. S. Chissà che anche qualche leader europeo non si ponga nei prossimi mesi l'obiettivo di recuperare la Gran Bretagna alla causa europea e l'Europa alle ragioni economiche, finanziare e di libero mercato del mondo anglosassone in generale.