Anche se sembra un paradosso, la verità è che i politici, i leader politici, sono veramente sinceri soltanto in campagna elettorale. Perché per raccogliere voti i leader devono essere soprattutto convincenti e per essere convincenti devono dire davvero quello che pensano.
(Inaudito, la regola – a mio modesto parere – vale perfino qui da noi in Italia)
Poi, ovviamente, non è detto che, una volta vinte le elezioni, riescano a realizzare quanto promesso, ma resta il fatto che in campagna elettorale sono costretti a dire (più o meno) la verità, quello in cui credono.
E' questa la ragione per cui il presidente francese Nicolas Sarkozy, stando ai sondaggi, non è riuscito a recuperare il terreno perduto nei confronti dello sfidante socialista, François Hollande.
Sarkozy, infatti, fu sincero nella campagna elettorale di cinque anni fa, quando si candidò per portare in Francia "la rupture", la riforma vera del sistema paese, la meritocrazia, un nuovo mercato del lavoro, una linea più atlantica in politica estera. Sincero prima, ma poco coraggioso e determinato poi, soprattutto sul fronte delle riforme economiche.
Ora invece Sarkozy appare incerto e indeciso perché non può più essere credibile nel dire le cose che pensa, cioè quelle di cinque anni fa. Non ha potuto – avrebbe ottenuto soltanto sfottò – rifare la campagna elettorale della "rupture" perché una volta all'Eliseo non ha messo in pratica molte di quelle promesse di riforma, di svolta; dunque, soprattutto negli ultimi giorni prima del voto di domenica, si è trovato impacciato nei panni del solito candidato neogollista che corteggia contemporaneamente l'elettorato del Front national, cioè della destra estrema, e quello del centro di François Bayrou, cioè dei moderati democristiani che guardano soprattutto a gauche.
Cinque anni fa Sarkozy era come candidato un'altra cosa rispetto allo scenario usuale, rispetto agli altri, incarnava ante litteram anche l'antipolitica, il fervore della novità; oggi è costretto ad agire come il più tradizionale dei candidati di centrodestra in Francia. Non potendo essere sincero, non appare nemmeno convincente.
Così, domenica sera, a urne chiuse, Sarkozy potrebbe davvero essere costretto a mangiarsi le mani, ripensando a come, a parole, aveva capito tutto in anticipo, a come i suoi sinceri propositi fossero azzeccati, cinque anni fa, peccato che poi siano rimasti tali, buoni propositi.
Già cinque anni fa funzionò, ma il candidato Sarkozy, proprio quello di cinque anni fa, sarebbe perfetto ora, per dare forza e speranza nell'oggi reso triste e sfiduciato dalla crisi. Peccato.
Il superamento degli steccati tra destra e sinistra, la riforma radicale del sistema economico nazionale ed europeo, il vitalismo anti casta, la politica come azione concreta, con qualche spruzzata di populismo: questi sono in fondo gli ingredienti di una possibile forza elettorale di successo proprio oggi, come e forse anche di più di cinque anni fa. Soltanto che la sincerità disegnata anche dalle ovvie convenienze di una campagna elettorale deve poi trovare riscontro nel coraggio delle scelte una volta al governo.
Così non è stato, roba da mangiarsi davvero le mani.