Non è tutto populismo o paura quel che luccica nelle urne. C'è anche chi se la gioca con buone idee, scelte coraggiose, toni ponderati e visione più che slogan. Certo, i problemi ci sono sempre, ma le speranze pure. Meno male.
Il messaggio di queste elezioni a Belgrado è infatti chiaro, la Serbia è un paese che vuole l'Europa e la merita. Il presidente Boris Tadic ha voluto accorciare il suo mandato, andando a elezioni un anno prima della scandenza del suo incarico, per affiancare presidenziali e politiche. Coraggioso, soprattutto visto che anche in Serbia la crisi economica morde e i dati, dalla disoccupazione alta (24 per cento) ai salari bassi, non sono certo confortanti per un leader in cerca della rielezione.
Eppure Tadic andrà al ballottaggio, forte perfino di un leggerissimo vantaggio nei confronti dell'eterno rivale, Tomislav Nikolic, che ha potuto giocare il più facile ruolo dell'oppositore radicale (non a caso il suo partito è arrivato di un soffio primo alle politiche, superando di poco la forza politica del presidente). E Tadic al ballottaggio ci va anche perché ha dimostrato di non temere il giudizio degli elettori sulla coerenza delle sue idee e del suo progetto, come nel corso degli anni ha saputo dimostrare pragmatismo sui temi più incandescenti, vedi il Kosovo, e idealismo sul sogno europeo, anzi sul giusto progetto di adesione all'Unione del suo paese. Ora la Serbia ha lo status di candidato. Bene.
L'Europa è vista come la soluzione alla crisi, non come il problema: questo è il messaggio che Tadic cerca ostinatamente di far passare. E molti serbi gli credono, ci credono e votano lui o i suoi alleati. E' una buona notizia e queste aspettative non vanno deluse.
Tadic non ha certo ancora vinto, ma considerando i voti presi dai suoi possibili alleati, può essere rieletto al secondo turno (il 20 maggio) e magari anche godere dell'appoggio fattivo di una buona coalizione parlamentare, anche se dovrà scendere a patti con il partito socialista; sì, quello che un tempo era guidato da Slobodan Milosevic è il partito ago della bilancia (che brutto termine!) della politica serba. Ma anche questa è una buona notizia: Ivica Dacic, terzo arrivato alle presidenziali, e il suo partito, terzo arrivato alle politiche, è descritto come uno dei politici più popolari in Serbia e ha riformato il vecchio partito del dittatore, dandogli un'anima di sinistra moderata, presentabile e ragionevole. Dovrebbe essere il naturale alleato di Tadic, ma ovviamente per ora fa soprattutto valere la sua rendita di posizione decisiva reclamando per sé o comunque per il suo partito il ruolo di premier. Però in fondo questa è la normale dialettica politica.
Con la crisi economica, con il dossier dell'indipendenza del Kosovo a soffiare sul fuoco alle porte, che un leader pragmatico e ragionevole come Tadic possa comunque sperare in una rielezione con tanto di coalizione parlamentare in fieri – sebbene il rischio instabilità sia sempre dietro l'angolo – è certamente una buona notizia e dimostra che l'Europa, nonostante tutto, può ancora esercitare il suo fascino su chi non ne fa parte, a patto si sembrare, come in Serbia, un'occasione di crescita e sviluppo economico, vedi le fabbriche di auto che arrivano a portare occupazione, e non soltanto come un groviglio di vincoli e regole.