Oggi è giovedì e anche oggi nel centrodestra berlusconiano non succederà nulla, nonostante l'attesa per l'evento, il dinosauro, la sorpresa, insomma per sapere che cosa abbia deciso Silvio Berlusconi.
Continua dunque la tattica dell'ex presidente del Consiglio di logorare con i suoi continui "stop and go" il Popolo della libertà, cioè il partito che oggi molti pidiellini amano odiare, e renderlo così talmente svuotato di forze e di senso da far diventare necessaria, direi obbligatoria, la nascita di qualcosa di nuovo (nuovo?).
Anche il Partito democratico, in passato, ha vissuto momenti così duri, come quelli che sta vivendo il Popolo della libertà. Il dolore della sconfitta subita o il sentore di quella in arrivo, di solito, fanno male alle forze politiche, è ovvio ma anche naturale. Eppure oggi il Pd spopola con le sue primarie di centrosinistra e gli esponenti bersaniani parlano in tv come se stessero già stilando le liste dei ministri, neanche di quelle dei parlamentari: sono già oltre.
Insomma, oggi il Pd ha il vento nelle vele, pure troppo, e il Pdl invece imbarca acqua da tutte le parti (ormai quando si parla di politica, dopo il match tra Bersani e Renzi a colpi di giaguari da smacchiare, le metafore sono imprescindibili). Ma la storia del Pd dovrebbe insegnare al Pdl due cose. La prima: sfasciare un grande partito è un'operazione in perdita comunque, meglio rinnovarlo e rinnovarsi, avendo la forza di aspettare tempi migliori. La seconda: le primarie sono sempre parte della soluzione e mai del problema perché, come diceva Giorgio Gaber, la libertà è partecipazione, la politica pure.
Invece il Pdl sembra a un passo dalla spaccatura e le sue primarie un ostacolo da rimuovere. Peccato, ma almeno, se spaccatura deve essere, che la spaccatura sia sui temi veri, non sulla tattica parlamentare e/o sui centimetri e/o i metri che dividono il colonnello o la colonnella tale o tal'altra da Silvio Berlusconi. Mentre Berlusconi valuta, pondera, sonda, insuffla, consiglia la tattica a Massimiliano Allegri per il Milan (e su questo campo qualche risultato si è già visto), chi fa politica nel Pdl dovrebbe dibattere e, se proprio è il caso, dividersi su una sola cosa, che poi è la Cosa del momento: Monti, il suo governo e la sua agenda.
Chi sceglie Monti, il suo governo e la sua agenda e vuole offrire qualcosa di questo menu al proprio elettorato alle prossime politiche dovrebbe iniziare a organizzarsi, anche restando all'interno del Pdl, dovrebbe dirlo chiaramente, proporre una classe dirigente convinta di questo progetto e magari anche iniziare a dialogare con il centro, anzi i centri, che stanno già lavorando, a dir la verità lentamente e con più di un intoppo, su un progetto di questo tipo. Tanto, come dice lo stesso Monti, il problema oggi non è di nomi, ma di idee. In questo specifico caso, data l'attuale situazione, la scelta del leader può venire dopo, a ridosso delle elezioni, ma l'offerta politica deve essera chiara da subito. (Lo ha capito, da Milano, Gabriele Albertini, candidato alla presidenza della Lombardia, che offre ad Angelino Alfano una sponda per rilanciare il Pdl in versione montiana e Ppe, anche senza il Cav.. E quello composto da Albertini e Alfano non sarebbe affatto un ticket disprezzabile alla guida di un partito liberale e moderato).
Chi invece, all'interno del Pdl, vuole rinnegare Monti, il suo governo e la sua agenda, dovrebbe fare altrettanto e altrettanto chiaramente organizzarsi, ovviamente, in questo caso, dialogando con la destra di Francesco Storace e la Lega nord di Roberto Maroni, forze sensibili a un progetto di questo tipo, alternativo a chi vuole offrire al paese il proseguimento dell'agenda Monti.
Soltanto così una scissione del Pdl avrebbe senso e forse anche una prospettiva con spazi di manovra per entrambe le anime politiche coinvolte. Se no, la scissione sarebbe soltanto la cancellazione non soltanto del Pdl, ma dell'eredità politica del berlusconismo.