Le cose stanno più o meno così.
Il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, ha deciso di giocare la sua battaglia (finale?) partendo da una proposta: un programma di sette, otto punti, con idee grilline di tagli ai costi della politica, da proporre al Parlamento e da presentare in televisione domenica prossima a Che tempo che fa da Fabio Fazio, dopo averne anticipato l'impianto nell'intervista di venerdì 1 marzo a Repubblica.
Il Movimento 5 Stelle non voterà mai in via ufficiale la fiducia a qualsivoglia governo, come Beppe Grillo ha detto e ridetto. Però – sperano i vertici del Pd- si può tentare con lo "scouting", ovvero si potrebbero trovare esponenti grillini, urgono soprattutto senatori, magari tra quelli di ispirazione più prettamente progressista, pronti a rompere le consegne del non voto.
Ma è molto difficile che il Quirinale avalli un tentativo di questo tipo: senza chiara maggioranza, il governo non nasce. Questa sembra la via maestra.
Nel frattempo, le due anime del Pd si dilaniano (come sempre, direbbe un maligno). Quella più social-democratica preme per forme di collaborazioni con il movimento grillino, quella più liberale sarebbe più propensa al governissimo con il Pdl. Poi ci sono figure e movimenti trasversali che per amore di negoziato a tutto campo tengono aperte tutte le ipotesi.
Intanto, Matteo Renzi, che ha su di sé gli occhi e le speranze rispettivamente di molti rivali e di tanti sostenitori, rimane fedele alla sua condotta: tocca a Bersani provarci e fino alla fine del tentativo bersaniano il sindaco di Firenze non farà e non dirà nulla più di quanto ha già detto e fatto.
Poi, ovviamente, sarà tutta un'altra storia. Anche perché il fattore tempo è fondamentale per la nostra economia, la nostra finanza pubblica, ma anche per il futuro politico possibile di molti degli attuali protagonisti, Renzi compreso.