Il grande paradosso della Lega Nord è frutto del capolavoro di tattica del suo segretario, l'ex ministro dell'Interno e neogovernatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni.
Il grande paradosso è questo: da un punto di vista elettorale la Lega Nord è ai minimi storici in termini di consensi, da un punto di vista politico la Lega Nord non è mai stata così forte: governa le tre regioni più importanti del settentrione – Lombardia, Piemonte e Veneto – e ha sulla carta già colorato di verde padano la tanto vagheggiata macroregione del Nord. Eppure.
La crisi di identità e in parte di leadership del movimento non può essere nascosta del tutto, tanto che le parole "secessione" o "scissione" iniziano a circolare non perché pronunciate nei confronti di Roma (anzi, il progetto ora è un altro), ma appunto all'interno del movimento, in una Regione in particolare, il Veneto.
Anche la Padania, da giornale combattivo e schietto, ne dà conto e, sebbene sotto un titolo levigato: "In Veneto discussione franca nel rispetto delle regole", riporta oggi la posizione battagliera del governatore del Veneto, Luca Zaia, nella "discussione franca" che sta animando questi giorni postelettorali tra i leghisti e in particolare tra Zaia e il sindaco di Verona, nonché segretario del Veneto leghista, Flavio Tosi, intenzionato a inviare lettere di richiamo alle voci troppo critiche tra i leghisti veneti (Zaia compreso).
Che dopo la vittoria di Maroni si aprisse uno scontro interno di idee e di personalità sul futuro della Lega era prevedibile e previsto, almeno da quando lo stesso Maroni aveva detto che non sarebbe rimasto seduto su due sedie e dunque che avrebbe fatto soltanto il presidente della Lombardia, lasciando la segreteria.
La lotta per la successione, però, sta avendo un avvio più cruento (e con qualche imprevisto) da un punto di vista politico proprio per l'esiguo risultato elettorale ottenuto dal partito. Il processo congressuale è nei fatti, ma proprio le liti interne potrebbero costringere Maroni a restare un po' più a lungo seduto su due sedie, mentre nel movimento si cerca la quadra.
Della partita vogliono essere anche, ovviamente, Umberto Bossi, i bossiani e Roberto Calderoli, anche se (più) dirottati sul fronte romano che su quello che in questa fase conta più per i leghisti, cioè quello della macroregione del Nord.
La cosa curiosa è che lo scontro interno avviene mentre molti leader iniziano a dire che bisogna andare oltre la Lega. Maroni ha spiegato che ha in mente per la Lega una prospettiva da Csu italiana, mentre in Regione Lombardia si iscrive al gruppo che nasce dalla sua lista "Maroni presidente" e non a quello della Lega.
Tosi dialoga da tempo con il mondo cattolico e post democristiano della sua regione e ha lanciato la candidatura di Corrado Passera a premier. Il governatore del Piemonte, Roberto Cota, in questa fase resta più defilato, reclama peso per il suo Piemonte, ma si ritaglia soprattuto un ruolo da mediatore, quasi fosse una terza via tra i litiganti, nonostante in questa fase sia il più debole tra i maggiorenti del partito.
Tosi è il protagonista con più carte in mano per ottenere, prima o poi, la leadership, ma nella sua Verona la Lega non è andata bene. Zaia gode di buona stampa, ma fino a poco tempo fa non veniva dato così in ascesa e se in Veneto la Lega soffre non è detto che sia soltanto colpa della segreteria del movimento o dell'alleanza con Silvio Berlusconi.
Ecco, appunto, il rapporto con Berlusconi – chiarito soltanto per tattica: la conquista della Lombardia, non in via strategica: e dopo? – e il futuro della Lega – identità nel rinnovamento o svolta Csu e apertura ad altre forze – sono i due grandi interrogativi leghisti.
Con un non detto di fondo: come riconquistare voti, essendo non decisivi a Roma e non potendo cavalcare la prostesta nelle piazze del Nord, visto che si è nelle stanze dei bottoni (e dunque si lascia molto spazio a Grillo e ai grillini)?
Dalla soluzione di questi problemi dipende il futuro della Lega. In queste ore ci lavora e ci lavorerà soprattutto Matteo Salvini, segretario della Lega lombarda e pontiere "faticone" tra vecchio e nuovo, tra opposte correnti.
In tanti reclamano il Congresso ma adesso è il manzoniano Tosi a dire: «Ci sono troppe tensioni nel movimento per affrontare un congresso», e quindi, meglio che al timone resti Maroni, come ha scritto l'Arena di Verona di alcuni giorni fa.