Alla (più o meno) fine delle consultazioni del leader del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, si possono cogliere almeno tre piccole (piccole?) sorprese, però nessuna purtroppo riguarda l'esito immediato della ricerca di una soluzione all'impasse. O almeno così sembra.
La prima. Sottotraccia, al di là del clamore e del chiacchiriccio restroscenista, stanno nascendo i partiti unici del centrodestra e del centrosinistra. E' ormai possibile che alle prossime elezioni, forse soprattutto se saranno ravvicinate, Pdl e Lega si presenteranno sotto un unico simbolo, come uniti si sono presentati al Quirinale e da Bersani. Del resto Roberto Maroni l'ha detto più volte: voglio fare della Lega una sorta di Csu italiana (mentre il Pdl fa la Cdu). E così molto probabilmente faranno – cioè presentarsi uniti – Pd e Sel. Nichi Vendola lo ha lasciato ben intendere intervistato due settimane fa da Fabio Fazio.
Certo, ci fosse nel Pd e dintorni Matteo Renzi leader, ci sarebbe qualche problema in più per Vendola, perché la tentazione di far nascere a sinistra la Linke italiana sarebbe forte, ma l'altrettanto forte presenza (e minaccia per il voto della sinistra radicale) del Movimento 5 Stelle potrebbe allontanare la tentazione, perfino se un Renzi leader del centronistra a partito unico dovesse voler dire anche l'arrivo dei montiani.
Resta il fenomeno. M5S a parte, paradossalmente proprio ora ci sono segnali di bipartitismo. Anche perché la crisi di Scelta civica potrebbe portare a sbocchi inauditi, la divisione in due gruppi – uno verso il Pdl e l'altro verso il Pd – o la scelta di un destino da junior partner di uno dei due grandi partiti. Finiremmo così – e un po' già lo siamo – come in Gran Bretagna, dove ai Tory e ai Labour, si affiancano i Lib-Dems e forze antisistema dalle alterne vicende come l'Ukip e il British National Party.
Beh, se la paura (e la concorrenza) di Beppe Grillo e le convergenti convenienze portassero a due partiti a vera vocazione maggioritaria, a destra come a sinistra, non sarebbe poi così male.
La seconda sorpresa è il fatto che sia stato essenzialmente il "no" di Roberto Maroni a far sfumare, per ora, l'idea del governo Pd, Sel, dissidenti M5S, ammesso che ci siano, montiani, leghisti e autonomisti di centrodestra in (libera) uscita. Curioso poi che il Pd vedesse e forse veda ancora nei due più acerrimi nemici tra loro – montiani e leghisti – i possibili alleati ufficiali di un governo "di cambiamento" e di poco più che minoranza.
La terza sorpresa è, comunque, la tenuta, almeno di facciata, del Pd. Certo, gli oligarchi sono stati molto silenziosi. Certo, una linea in qualche modo diversa dei renziani è emersa. Certo, si sono già notati riposizionamenti sia tra i lettiani sia tra i cosiddetti "giovani turchi". Però in fondo, complice il desiderio che la legislatura parta e che si possa continuare a essere parlamentari, il Partito democratico si è comunque schierato, sebbene scettico nella sua pancia, attorno al suo segretario e al suo tentativo quasi impossibile. Anche questo, in fondo, è un sintomo del desiderio di partitone del centrosinistra. Come peraltro l'elezione di Piero Grasso e Laura Boldrini alle presidenze delle due Camera. Vedremo.
Ps. Il tentativo di Bersani di guadagnare tempo e ancora tempo è forse legittimo, vista la difficoltà della trattativa, ma in qualche modo può dare e può aver dato la sensazione che sia e sia stato proprio il Pd a non ascoltare i moniti del Quirinale o comunque a differenziarsi dalla sua agenda. Tanto che se oggi Silvio Berlusconi si alzasse in Senato per dire che il centrodestra (ri)candida Giorgio Napolitano al Colle i volti più spiazzati sarebbero forse nell'emiciclio di centrosinistra.