Continuo a pensare che in fondo, nel loro primo incontro, Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi si siano scambiati le liste con i nomi dei possibili candidati alla presidenza della Repubblica e poco più, oltre alle chiacchiere sul Milan e agli auguri di buona, più o meno prossima campagna elettorale.
Bersani ha detto e ridetto che non intende fare maggioranza, di riffa o di raffa, con Berlusconi. Prima il presidente, poi il governo: è il motto del momento. Berlusconi in questa situazione può alla fine accettare quasi qualunque governo, tanto avrà una maggioranza debole, e può continuare comunque ad accarezzare l'idea di un ricorso alle urne più o meno quando vuole, ma non è disposto a rischiare di avere un presidente "nemico". Dunque di questo hanno parlato.
L'identikit perfetto del prossimo presidente, dal punto di vista tattico-strategico dei due principali leader, è il seguente: un presidente con forte vocazione maggioritaria – ovvero disposto a riconoscere il pur minimo vantaggio elettorale riscosso dal centrosinistra, dando l'incarico a Bersani, per poi sciogliere le Camere in caso di non fiducia – e un presidente garantista e non antiberlusconiano doc.
Circolano decine di nomi. E le tattiche di (auto)candidature sarebbero tutte da studiare per poi, a risultato avvenuto, spiegarle nei master di comunicazione (e non comunicazione) politica.
Contano di più i silenzi tattici o le esternazioni ben mirate a un target politico-grandelettorale? Meglio essere citati o non citati nei totoquirinale? Davvero si cercano nomi che corrispondono alle due, tre caratteristiche più citate: condiviso, di cambiamento. Vedremo.