Diciamo la verità, il dubbio che una generazione che tanto ha chiesto il ricambio generazionale poi alla fine ottenuto lo spazio di azione non sappia come colmarlo c'è. E' la sindrome Stramaccioni. Va evitata, scongiurata, parola di interista (alla fine anche un po' stramaccioniano).
Ti ritrovi lì, nel posto che hai sempre sognato, con la fiducia dei tuoi, ma non sai scegliere se applicare tutte le tue idee, se essere te stesso, capacità grezze e inesperienze comprese, ma pure forza, creatività, scioltezza, o se diventare subito la copia anastatica di quelli che c'erano prima di te, se agire come loro, con le loro logiche, timori, diplomazie, accortezze.
E allora zigzaghi tra vecchie abitudini imparate nell'ascolto e nella visione e le nuove idee create dalla convinzione interiore. Ondeggi tra la conservazione e l'innovazione, tra la concertazione tra i poteri di prima e la simpatia per le forze di domani. Oscilli tra il tentare il colpaccio della rivoluzione e la prudente via della conservazione, magari rivestita in jeans e maglietta e iPhone.
Sei talmente onorato di essere lì che non hai il coraggio di fare quello che hai sempre voluto fare. E' come se ti sentissi perfino in colpa del fatto che le cose siano andate come volevi e come in fondo era giusto che andassero. E' come se non volessi dare troppo fastidio al passato, visto che il presente ti ha messo nella condizione di guidare una squadra o un paese o un'azienda verso il futuro. E' come se non volessi chiedere a tutti gli altri, precedenti leader compresi, di fare al meglio tutto il loro dovere perché erroneamente convinto che il loro dovere era ed è soltanto averti lasciato lo spazio di azione.
Sei lì, dove mai avresti sperato di essere così giovane (per i vetusti canoni italiani, perché altrove invece…), dove però hai sempre lavorato per arrivare, e magari studiato, e magari hai paura che un direttore sportivo o un ragioniere generale dello Stato non ti diano le risorse, giochino un po' a farti fallire per dimostrare che alla fine il ricambio è troppo rischioso, troppo affrettato, troppo.
Hai sgomitato, hai combattuto, hai anche – perché no? – intessuto la trama giusta, poi le condizioni lo hanno permesso, e ora che sei lì non riesci a tirare fuori le idee che hai sempre voluto realizzare e la forza per realizzarle.
Il rischio è che il viaggio per arrivare lì esaurisca la riserva di grinta necessaria per poi lì fare e non soltanto esserci. Già che ho avuto la fortuna di arrivare qui, non vale la pena rischiare di perdere il fatto di essere qui: ecco, questo è il ragionamento più efficace per sprecare l'occasione del ricambio, l'occasione di fare, nello spazio dove non è importante soltanto esserci. Anzi.
Bisogna avere una storia da raccontare e la storia non può essere soltanto avercela fatta e il cammino con cui si è riusciti a entrare alla Pinetina di Appiano Gentile come a Palazzo Chigi o a Palazzo Vecchio o a Largo del Nazareno.
La generazione – pardon – dei trenta-quarantenni – pardon – è stata talmente scoraggiata, immobilizzata, sottovalutata, aspettata, infreddolita, incredula, educata, eccetera eccetera, che rischia di perdere la grande occasione per il timore di affermare la propria storia e la propria identità, anche con un pizzico di quella cattiveria politica che è spesso soltanto sinonimo di determinazione.
Per evitare la sindrome Stramaccioni, è meglio avere la tenacia per entrare a testa bassa che il desiderio inconscio di uscirne a testa alta. Parola di interista.