Non si aspettava di avviarsi alla vittoria così, con un riallineamento delle principali anime (non chiamiamole "correnti", per carità) dietro la sua leadership, ma tant'è. Gli eventi hanno cambiato la trama.
Matteo Renzi ha sempre preferito l'investitura popolare, quella delle primarie. L'ha cercata, si è battuto, ha perso contro Pierluigi Bersani, anche per un cambio in corso delle regole, lo stesso cambio peraltro che gli ha anche garantito la possibilità di battersi con l'ex smacchiatore di giaguari.
Ora Renzi – come dice Dario Franceschini, da tempo calatosi nel ruolo di mediatore dentro e fuori il partito – si avvia alla vittoria "se tiene unito il Pd", cioè se riesce nell'impresa di non sfiduciare il governo delle larghe intese preparando da subito la vittoria del dopo governo delle larghe intese, un dopo che potrebbe essere tra poco come tra molto.
Tutto quello che sta accadendo nel Partito democratico, dunque, fa propendere per il fatto che gli esponenti del Pd, in maggioranza, non ritengano imminenti le elezioni. Così la pensa anche Renzi, che intende usare il tempo fino alle prossime elezioni per conquistare prima il partito e poi gli elettori di un nuovo centrosinistra che attragga nuovi voti anche dagli altri schieramenti. A partire dalle Europee.
Il barometro del Pd segna "stabile" per il clima sul governo, nonostante tutto. Quindi la soluzione ora diventa: Matteo Renzi segretario, Enrico Letta a Palazzo Chigi. Finché dura. Poi primarie. Poi probabilmente Renzi candidato a Palazzo Chigi e magari Letta al partito, esaurita l'esperienza delle larghe intese, o al governo con Renzi, in caso di vittoria. Sarebbe l'avverarsi nei fatti di un ipotetico patto del grano, immaginato su Europa da Filippo Sensi.
Andando così le cose – finché dura – Renzi si preparerebbe a guidare il Pd alle Europee, in attesa della prossima volta elettorale per il governo del paese. Quando per candidarsi potrà (ri)avere l'agognato lavacro delle primarie. E quando magari appunto si scambieranno i ruoli tra lui ed Enrico Letta.
Sta così nascendo la staffetta tra i due volti dell'anima popolare del Pd, magari anche passando per la tanto discussa mozione Boccia?
Certo, non è detto che il declino del mondo ex diessino, e dunque post comunista, all'interno del Partito democratico sia indolore.
Ma che farà Berlusconi? Il Cav. è ancora convinto che se il Pd fa decadere lui, lui deve far cadere il governo delle larghe intese. Però, certo, la prospettiva di una sfida elettorale con Renzi, se da una parte galvanizza il suo lato agonista, dall'altra lo fa riflettere almeno un po'. Tra un Letta a Palazzo Chigi e un Renzi in campagna elettorale non è affatto detta che un Cav. decaduto preferisca la seconda opzione.
La grande ingognita, oltre alla solite variabili berlusconiane, è: Renzi al partito logorerà Letta al governo o viceversa Letta al governo logorerà Renzi al partito? Oppure l'ipotesi della staffetta e/o della collaborazione prevarrà, e vissero felici e contenti?
Diciamo che ai due servirebbe appunto un vero patto. I modelli si sprecano: da quello tra Tony Blair e Gordon Brown a quello tra Vladimir Putin e Dmitri Medvedev. Vedremo.
Renzi avrebbe preferito una differente narrazione, ma purtroppo il cuore della politica italiana sembra avere ancora delle ragioni che non scaldano i cuori. E intanto il Pd può per una volta mettere in campo una buona squadra con una buona prospettiva. O almeno ci prova.