Ogni volta che Matteo Renzi organizza qualcosa si coglie sempre la stessa sensazione: che va avanti, mai indietro. Sì, certo, qualcuno inizia a dire che chissà, magari il sindaco di Firenze è partito troppo presto, che ora del voto sembrerà lui più establishment dell'establishment che vuole rottamare, che ovviamente è diverso vincere contro il segretario del proprio partito rispetto a vincere con il segretario del proprio partito in sala. Il peso della candidatura di rottura cambia, come è cambiato il numero di parlamentari renziani all'inizio della legislatura (una cinquantina) rispetto a ora, al via della gara per la segreteria (ci si avvicina ai 200).
Tutto giusto, però la bravura di Renzi finora è stata quella di avviare un'inerzia (anche narrativa, con i simboli sul palco e i vecchi e nuovi amici) tale che sembra non fermarsi mai e soprattutto che pare resistere al logorio del tempo che passa. Nessun incidente, nessun cedimento, buona tattica e la storia va avanti.
La novità resta lui, anche se le ricette economiche oscillano di più, tra il blairismo della Leopolda 2012 e il neolaburismo di oggi, anche se sull'amnistia ha almeno in parte cambiato idea, anche se al governo c'è un altro esponente del suo partito e del (suo) ricambio generazionale. Come ha detto lo stesso Renzi in una recente intervista: tempo ne ha, in fondo tra dieci anni Renzi avrà la stessa età che ha oggi il presidente del Consiglio Enrico Letta.
Questa inerzia resistente al tempo è la fortuna di Renzi, ma potrebbe anche essere la garanzia di non logoramento per Letta, nel senso che se quest'inerzia non dovesse essere scalfita, come i giornali di oggi raccontanto, Renzi potrebbe essere disposto a concedere un anno all'esecutivo e ai partiti per andare avanti e varare alcune riforme. Certo è che la tentazione di colpire ora che il ventre dell'altra parte, il centrodestra, è molle resta sullo sfondo. Non solo dei ragionamenti dei renziani.