La signora esce dal teatro con la pelliccia, appoggiandosi al marito e svicolando subito nell'androne della galleria attaccata all'ingresso. Sempre appoggiata al marito, ancor più appoggiata al marito, in una scena dolcemente conservatrice, la signora alza il piede, toglie il tacco e mette una specie di infradito, comoda. Un'altra signora, proprio in quel momento, la saluta, lei ricambia sistemando la scarpa, comoda.
Figuriamoci, tutto è cambiato in una settimana in politica, per stare più comodi e sicuri come paese, magari con una infradito al posto di un mocassino, figuriamoci se una signora sanremese non può cambiarsi le scarpe dopo aver assistito al grande evento mondano. Può. Mentre per le vie della città ligure, di giorno, le canzoni dei Festival passati escono da non si sa dove; di pomeriggio è tutto un chiedersi: "Chi è quello?", "Sai chi vorrei vedere io?".
Sono stato a Sanremo perché a Sanremo "il Festival non si vede, si vive" (e il copyright è di Roberto Pavanello, sagace collega della Stampa). Sono stato a Sanremo e ci sono andato pensando di trovare il racconto soavemente rassicurante di un'Italia delle larghe intese impaurita e speranzosa, ma al casello di Arma di Taggia, l'Italia era già diventata quella del duello tra Grillo e Renzi, del ragazzo sindaco che vuole essere pop anche nell'aula del Senato e della Camera: arrivo, arrivo, delle immagini che arrivano dall'Ucraina, il portone infiammato di casa Europa.
Insomma, sono andato a Sanremo per vedere un Festival che era stato pensato per un'Italia con una settimana di grandi cambiamenti in meno. Ma l'Italia è anche questo, un muro umano che osserva un altro muro umano, ai due lati di uno spazio vuoto riempito da mezze star e intere troupe televisive, un popolo di commissari tecnici della nazionale, di presidenti del Consiglio austeri e autorevoli e di critici puntuti di Sanremo. E grazie Pif che hai risolto per sempre il rebus: Sanremo si scrive tutto attaccato.
L'embargo, infine, è l'ultimo vero potere, privilegio rimasto ai giornalisti. Ma poi di solito alla fine c'è chi rompe pure quello.
Ps. I miei preferiti Renzo Rubino, Perturbazione.
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