Uno dei fenomeni più interessanti e preoccupanti che accadono tutte le volte che un luogo dell’Occidente diventa bersaglio di attacchi terroristici jihadisti, con il conseguente massacro di persone del tutto innocenti (carnage, c’è tutto in una parola), è il rapido, carsico, pervasivo diffondersi di una particolare convinzione che poi influenza, nemmeno tanto sotto traccia, linee politiche ed editoriali come dibattiti culturali e sociali: “E’ colpa nostra”. Ma perché?
Perché si diffonde questa diceria, questa sensazione, questa presunta riflessione sedicente frutto di una sensibilità superiore alla media, questa accidiosa opinione che impedisce una matura consapevolezza di quanto stia accadendo almeno da quattordici anni, almeno dall’11 settembre 2001?
Sembrerebbe infatti del tutto controintuitivo pensare che sia colpa di François Hollande o del sempre mai abbastanza odiato George W. Bush (peraltro al governo da otto anni negli Stati Uniti ci sarebbe il premio Nobel per la Pace, Barack Obama), sì, sembrerebbe del tutto controintuitivo pensare sia colpa nostra o dei nostri leader politici se Valeria Solesin è stata ammazzata, colpita alla schiena mentre cercava di fuggire alle sparatorie indiscriminate in un normale concerto al Bataclan di Parigi. Eppure accade, si dice o si pensa: “E’ colpa nostra”. Ma perché?
Trovare i motivi di una simile particolare sensazione/opinione non è certo facile e anche soltanto abbozzare alcune risposte può apparire presuntuoso o pretestuoso. Ma vale la pena correre il rischio, senza scomodare categorie filosofico-psicologiche come l’odio di sé alla Otto Weininger.
La prima ragione per cui diciamo “è colpa nostra” è l’antiamericanismo, che poi assume forme di antiisraelismo, se non di antisemitismo, e ovviamente di antioccidentalismo. E’ colpa nostra perché gli americani sono brutti, sporchi e cattivi e siccome noi siamo alleati degli americani siamo anche noi un po’ brutti, sporchi e cattivi. In questa semplificata ondata di, diciamo, pensiero c’è anche, ovviamente, una forma strisciante di revanscismo, se non politico, almeno culturale, di gran parte della sinistra post-comunista che, privata della propria ideologia dalla storica vittoria del capitalismo sul comunismo, cioè privata della propria anima politico-culturale o della propria coperta di Linus ideologico-esistenziale, se la prende con chi ha vinto, affermando che sì la sua visione si è rivelata superiore o vincitrice, ma ha prodotto e produce gravissimi danni e feroci prezzi da pagare. E poco importa che le vittime del Bataclan non siano i comandi militari della guerra in Libia o in Siria o i teorici del turboliberismo, ma magari volontari di Emergency o cittadini comuni, la colpa è nostra a prescindere perché siamo politicamente e culturalmente alleati degli americani in quanto occidentali.
La seconda ragione per cui diciamo “è colpa nostra” è un nostro merito, un nostro pregio, cioè un aspetto positivo delle culture liberal-democratiche, della civiltà occidentale, ovvero la diffusione di una sana consapevolezza sociale, mai abbastanza profonda ma pur sempre presente, che intravede nella difficoltà a risolvere alcune gravi questioni legate alle diseguaglianze economiche, e appunto sociali, una ragione di autocritica severa, la scaturigine cioè di un senso di colpa che ci fa dire, di fronte a reazioni da noi non controllate e non controllabili, che in fondo è colpa nostra. Se questa riflessione è corretta, se questa sensazione/opinione è frutto di un aspetto positivo della nostra civiltà, dobbiamo prenderne il buono – l’anelito a migliorare le nostre società – senza però dimenticare che allora, proprio e anche per questo motivo, le nostre società sono meritevoli di esistere, di continuare a proteggere i propri valori e a battersi per i propri principi. Senza cambiare la base della nostra convivenza. In poche parole, per continuare a migliorare le nostre società dobbiamo continuare a vivere. E dunque dobbiamo vincere contro chi ci vuole annientare. Per, come si dice, risolvere le cause del terrorismo all’origine, dopo averle a fondo comprese, dobbiamo continuare a vivere e a vivere secondo le nostre culture, i nostri diritti, le nostre convinzioni. Dal conoscere per deliberare discende anche il vivere per comprendere.
La terza ragione per cui diciamo “è colpa nostra” è un’illusione, naturale ma pur sempre un’illusione, cioè la voglia di credere che se noi facciamo qualcosa di diverso da quello che stiamo facendo loro, i terroristi jihadisti, ci lasceranno in pace. In fondo, è una naturale, ovvia, giustificata e giustificabile speranza quella di pensare: “Ci uccidono perché facciamo qualcosa, se smettiamo di fare quel qualcosa non ci uccideranno più”. Ma se è naturale questa illusoria speranza, allora bisogna rispondere con sincerità alla seguente domanda: che cosa dobbiamo smettere di fare perché ci lascino in pace? La drammatica risposta è che dovremmo smettere di essere noi stessi. Vogliamo?