Non si sa con certezza se e come in politica si possa dare un po’ di calore alle cose, ma è quello che ancora manca alla corsa di Corrado Passera a sindaco di Milano. Bene la presentazione in streaming su Facebook, ma non altrettanto bene la location: mai si sceglie un angolo, mai un palchetto. Un candidato si presenta in piedi e su un palco teatrale, frontale, niente sbieco, niente tre quarti, niente mezze misure d’osservazione. Gente, persone dietro? Sì, ma se scelte con sincerità comunicativa. Ottima la scelta dell’iperattivo (ex)expottimista Giacomo Biraghi come responsabile organizzativo della campagna, ma presentare come nuovissimo il porta a porta è un po’ rischioso. Sì, il numero dei comitati, più di 50, fa la giusta impressione, però continua a creare più di un problema la scelta delle comparse accanto al protagonista che parla: sa di finto, anche se non lo è. E poi perché le sedie? Un candidato sta in piedi, ritto, chi lo aiuta e lo sostiene pure. Non si deve mai dare l’impressione che qualcosa sia scelto più dallo staff della comunicazione che dal leader o dal caso. Niente sedie: niente alzarsi e sedersi con imbarazzo. Passera, peraltro, sembra dare il suo meglio in oratorie informali sì, ma con lui al centro da solo, magari senza giacca e cravatta e con maniche della camicia arrotolate. C’è chi lo ricorda così riscuotere applausi alla lettiana e rimpianta iniziativa giovanil-lobbistico-verace di VeDrò. Le idee forti devono ancora arrivare, ma lo slogan sulle “sicurezze” da (ri)dare ai milanesi è sicuramente in linea con lo spirito dei tempi e perfino un pochettino originale nella sua declinazione al plurale. Buona e funzionale la mossa di presentare la propria candidatura come LA vera lista civica di Milano, ma attenzione a non voler sembrare troppo un vorrei-ma-non-posso leader di partito nazionale. Privatizzazioni? Un accenno non chiarissimo ma soltanto come forma di reperimento di risorse. Mille vigili per pattugliare davvero tutti i quartieri? Ecco, si sente dietro le quinte il sussurro che porta consiglio di un Gabriele Albertini. Scaltra la risposta sul dialogo con il centrodestra, ma attenti a non apparire tatticisti: si punta ad avere tanti consensi, dunque sì, parliamoci, ma non invertiamo l’ordine degli addendi: prima si parla alla città e semmai poi loro vengono da me (atteggiamento giusto anche se può apparire presuntuoso). Il centrodestra del resto, proprio nelle stesse ore del lancio della candidatura di Passera, inizia a muoversi proprio sotto vesti “civiche”, ma c’è qualcuno, appunto Passera, che lo ha fatto prima. Forse perfino troppo prima. “Milano città Stato”, al netto della praticabilità dell’idea, è un’immagine fresca e che vellica le giuste ambizioni dei milanesi: un (buon) punto d’inizio. Forse non si potevano pretendere oggi, alla partenza, tante idee originali e coraggiose per un vero programma di governo della città, quindi per ora quel che manca a Passera è un po’ di calore, perché in fondo che il suo sia un impegno sincero traspare abbastanza. Ma il calore, uno, se non ce l’ha, se lo può dare? Ai prossimi mesi, a Passera e al suo staff l’ardua sentenza.