Questa mattina, appena sveglio, mi è venuta voglia di capire che cosa sia successo e che cosa possa succedere in Spagna, dopo le elezioni di domenica. Allora ho pensato di scrivere un sms al più appassionato e tassonomico e curioso giornalista italiano esperto di Spagna e di Spagne, nonché mio caro amico, Guido De Franceschi. Gli stavo per chiedere una dritta individuale, poi ho pensato che sarebbe stato utile condividerla con Danton e con chi vuole.
Di Guido De Franceschi
Nelle elezioni politiche spagnole il Partito Popolare di Mariano Rajoy ha vinto con un buon margine sugli inseguitori, sempre che si possa definire vittoria il passare dal 44,6 per cento al 28,7, il perdere tre milioni e mezzo di voti pur a fronte di un leggero aumento dell’affluenza e l’ottenere 123 seggi rispetto ai 186 di quattro anni fa (la soglia per la maggioranza si apre a 176 seggi). “Benvenuti in Italia”, ha titolato El País. Benvenuti in un Paese in cui per fare (forse) un governo bisognerà trattare e discutere molto. È un trauma per la Spagna che, dalla Transizione alla democrazia a oggi, non ha mai avuto un esecutivo di coalizione ed è sempre stata rigorosamente bipartitica, ancor più di quanto non lo sia stato il Regno Unito. “Chi vince governa da solo” era, fino a ieri, la regola. Da oggi cambia tutto. Tanto più che non bastano a raggiungere la maggioranza né la somma di centro-destra, e cioè Partito Popolare più Ciudadanos (il partito di Albert Rivera ha ottenuto il 14 per cento e 40 seggi), né la somma di centrosinistra, cioè PSOE (22 per cento, 90 seggi) più Podemos (20,6 per cento, 69 seggi) più Izquierda Unida (3,7 per cento, 2 seggi). La Spagna si trova di fronte a un difficilissimo esordio nel mondo delle coalizioni politiche. La scelta infatti si riduce a due opzioni: una tripletta acrobatica di partiti o addirittura una grande coalizione tra PP e PSOE. Quest’ultima soluzione, che a prima vista sembrerebbe la più “semplice”, sconta il fatto che i due (ex?) grandi partiti spagnoli sono assai difficilmente riducibili ad unum (sarebbe come provare a mettere insieme il Labour e i Tories nel Regno Unito), che si aprirebbe una guerra tra losers (Rajoy e Sánchez) per capire chi dovrebbe fare il presidente di un simile governo e che davanti all’arrembante crescita di movimenti politici “altri” un patto tra i difensori dello status quo potrebbe irritare, e non poco, gli elettori. Benvenuti in Italia. E neppure nell’Italia di oggi, ma in quella degli anni Settanta-Ottanta.
E da leggere sul Sole 24 Ore:
La questione separatista unico elemento per costruire una maggioranza – di Luca Veronese