La hashtag parade, la classifica Twitter 2013, dei temi televisivi è questa: #mtvhottest, #xf7, #italiasgottalent, #tvoi, #piazzapulita, #serviziopubblico, #leiene. Se infatti scrivessimo tra vent'anni scriveremmo che nel 2013 in Italia sbocciò la social tv. Che cos'è? La cara e vecchia televisione. Perché in fondo non è cambiato niente, non è cambiato molto, anche se è cambiato tutto, in quel 2013. L'innovazione sviluppa il metodo, come speso accade, ma non è detto anche il merito. La televisione infatti compie sessant'anni e ritorna all'origine. Paradosso 2014. Un tempo ci si trovava in un posto – un bar, la casa di un amico più fortunato e benestante, il centro comunale – per vedere tutti assieme la Radiotelevisione Italiana. Sia lode in gloria a "Lascia o raddoppia?", e ciao Mike! Oggi ci si trova in un posto – Twitter, Facebook – per vedere tutti assieme la tv. La televisione non esiste se non ne parli, se non la guardi in gruppo, se non la vedi per criticarla e se non la critichi perché la stai vedendo. Alibi. La televisione è uno strumento di aggregazione collettiva, con i social network lo è ancora di più. Dal 2013 in Italia c'è la social tv. Certo, c'è però anche la "legge di Freccero", quella che con Marta Cagnola evochiamo spesso a Radiotube su Radio 24, parlando appunto di tv e social network. La suddetta legge è in realtà una libera interpretazione di alcuni insegnamenti del maestro Carlo Freccero ed è così sintetizzabile: più si tuitta, meno si guarda, ovvero il successo televisivo in termini di audience tradizionale di una trasmissione è inversamente proporzionale al successo in termini di cinguettii. Questioni di target (basta vedere come nella classifica 2013 domini la musica negli hashtag per capirlo); questioni di nicchie, almeno per ora, questi social network. D'accordo, però c'è da scommettere che nella settimana del Festival di Sanremo i nostri tinelli (ma esistono ancora?) saranno più o meno affollati quanto le nostre timeline. Ritorno all'origine o quasi.
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