Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, per ben due volte, la prima alla prima importante fiducia e la seconda alla seconda importante fiducia, ha enunciato un programma ambizioso per il suo governo. Però oggi c'è un problema. Quel programma non è (stato) dettagliato – un discorso al Parlamento del resto non può esserlo – non è (stato) declinato nelle specifiche misure possibili, nelle intese raggiunte tra i partiti. E questo è il punto. Le nostre larghe intese non hanno intese.
Il governo di larghe intese, quello italiano, è nato dopo un periodo di stallo politico-istituzionale provocato dalla pertinace ma vana insistenza di Pierluigi Bersani nel tentare di comporre un'alleanza (politica?) con il Movimento 5 Stelle per un cosiddetto "governo di cambiamento".
Fallito a più riprese quel tentativo, si sono aperte le porte alle larghe intese, ma più per l'impossibilità di andare al voto con una legge elettorale a rischio di sentenza di condanna per incostituzionalità e più per garantire un minimo di stabilità nell'ennesima fase delicata della vita politico-economica del paese che per convinzione delle forze politiche coinvolte.
Ogni partito ci ha letto, nella nascita dell'esecutivo guidato da Enrico Letta, quel che voleva. Il Pdl ha pensato alla pacificazione. Il Pd ha pensato a guidare da Palazzo Chigi una fase di transizione mentre metteva a posto i suoi guai interni. Scelta civica ci ha visto un modo per incalzare un governo facendone parte e non, come prima con Monti, avere del governo soltanto gli oneri (soprattutto elettorali).
Questo dato – cioè la libera interpretazione della natura del governo difforme a seconda del soggetto che la elaborava – è stato per un po' il punto di forza dell'esecutivo. Poi è arrivata la bufera della condanna in Cassazione per Silvio Berlusconi con conseguente e inevitabile scenario di rinnovata instabilità.
Oggi però la prospettiva è diversa. Dopo il voto di fiducia, dopo il patto dei quarantenni, dopo i nuovi numeri, dopo il passaggio politico che ha portato la parte berlusconiana del Pdl a una sorta di "appoggio esterno", utile ma non decisivo, nei confronti del governo, la prospettiva cambia nel senso che si allunga.
La legislatura inizia a srotolarsi, salvo sorprese renziane, almeno a tutto il 2014, forse più. Dunque diventa ineludibile l'idea di siglare anche le intese, dopo aver deciso che sono larghe.
Insomma, la richiesta da più parti venuta, soprattutto dal lato di Scelta civica, di un programma di governo di massima ma preciso concordato tra le parti, cioè tra i partiti, diventa sempre più ragionevole e urgente, a meno che non si voglia vivere alla giornata, tra Imu e un'Iva, tra uno stop e un go.
Cari partiti, date alle larghe intese le intese, così facendo darete anche più certezze ai cittadini e agli investitori.