La leadership di Bersani alla prova degli oligarchi

Il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, nel recente passato ha mostrato per almeno due volte coraggio e senso di responsabilità.

La prima volta nei confronti dell'intero paese: poteva invocare le elezioni, le avrebbe molto probabilmente vinte, ma spiegando di non voler trionfare sulle macerie ha dato vita, assieme al Pdl e al centro, alla strana maggioranza che sostiene il governo Monti, convinto, giustamente, che una scelta di responsabilità avrebbe giovato alla sua parte politica anche in vista delle elezioni.

La seconda volta nei confronti del suo partito e della sua coalizione, quando ha annunciato primarie aperte e realmente competitive, quando invece avrebbe potuto tranquillamente dire: lo statuto del Pd parla chiaro, sono io il candidato premier.

Non lo ha fatto per non spaccare il partito, per non indebolire la coalizione e per far tesoro della risorsa Matteo Renzi, invece di considerarlo un problema. Ben fatto.

Difficile ora pensare che voglia compromettere questi due sforzi di coraggio e di senso di responsabilità, varando un regolamento delle primarie teso a mettere ostacoli alla reale apertura della competizione, molto difficile.

Perché così indebolirebbe la sua leadership sul partito, per colpa di una scelta che sarebbe interpretata come molto poco coraggiosa, dopo due atti di coraggio da molti osservatori riconosciuti come tali.

Bersani non avrebbe alcun interesse, a mettere regole ad personam, cioè considerate da quasi tutti come anti Renzi. Infatti, se vincesse così, la sua sarebbe una vittoria dimezzata, rispetto a quelle di Romano Prodi e Walter Veltroni; se perdesse, sarebbe una débâcle in grado di mettere in dubbio la sua permanenza alla guida del Pd.

Molti oligarchi del partito, a rischio di rottamazione renziana, questi sì, hanno da perdere molto da una competizione aperta, e dunque stanno consigliando al segretario di correre ai ripari, mettendo così a rischio la tenuta del partito (come ha sottolineato Walter Veltroni), la credibilità dello strumento "primarie" e alla fine anche lo stato di salute della coalizione, già peraltro provata dallo scontro a distanza, per interposto Pd, tra Pierferdinando Casibi e Nichi Vendola.

Difficile pensare che Bersani cada nell'errore consigliato dai soliti noti, difficile ma non impossibile.