Come anticipato fin da subito da Vittorio Da Rold sul Sole 24 Ore, la Grecia si avvia verso nuove elezioni. E prendersela con gli elettori o gli eletti greci è poco utile. La democrazia ha delle ragioni che la ragione dei mercati non può capire. E la democrazia, in quanto peggiore delle forme di governo possibibili eccetto tutte le altre sperimentate finora, va rispettata. (Soprattutto in Grecia, no?)
Pure i mercati, certo, hanno le loro ragioni e vanno tenuti in debito conto. Perché i mercati segnalano anche quello che non funziona: non funziona per esempio la lentezza nel prendere decisioni nell'Unione europea. Come è pensabile che algoritmi matematici e comandi informatici possano decidere l'andamento delle Borse e delle valute in una frazione di secondo, se invece per varare uno solo dei tanti piani di salvataggio servono almeno sei mesi?
Per queste ragioni e per queste contraddizioni, il grande errore è stato fatto due anni fa. Allo scoppiare della crisi greca andava fatta una scelta netta: o si salva (davvero) Atene o si pilota un default (vero).
Invece la Grecia è stata lasciata più di due anni "a un passo dal default", mentre l'Europa si avvitava in "una deriva austeritaria" che non ha rassicurato i mercati e in più ha aggravato il ciclo recessivo. Così gli europei hanno speso soldi per (non) salvare la Grecia, i governi greci hanno inanellato manovre depressive e le proteste si sono via via rafforzate fino a creare una situazione politica in apparenza senza sbocchi. (Che si fa, si continua a votare ad Atene fino a quando non si crea uno scenario parlamentare conforme alle esigenze dello spread o del Nord-Reno?)
In questi due anni, sui mercati gli scommettitori al ribasso hanno potuto agire e scommettere sempre di più sul peggio, con il retropensiero "I know my chicken, l'Europa prenderà soltanto mezze decisioni…".
Le varie cancellerie europee hanno potuto sostenere, a seconda delle rispettive opinioni pubbliche maggioritarie, che la Grecia era stata salvata e/o che la Grecia non era stata salvata, che il rigore era stato rispettato e/o che in fondo c'erano state aperture alla crescita. Ma gli elettori poi, sempre più rapidi degli eletti, hanno punito leader come Nicolas Sarkozy che non sono riusciti a proporre con forza una linea di protezione dalla turbofinanza e di vero sviluppo dell'economia.
Il problema, forse, è proprio tutto qui. C'è un vuoto di idee nella politica europea e siccome la politica non ammette vuoti i mercati hanno colmato lo spazio libero con quella dittatura dello spread denunciata anche dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas.
La deriva "austeritaria" nasce anche dalla carenza di progetti nuovi capaci di infondere fiducia nella ripresa nei cittadini europei. Senza progetti, restano i vincoli di bilancio, la partita doppia, i parametri finanziari, il rating, il differenzale, i cds. Gli elettori non ci stanno e lo segnalano con l'unico strumento efficace in loro possesso, cioè il voto. L'arrivo all'Eliseo del socialista François Hollande è frutto anche di questa sensazione diffusa e anch'esso preoccupa i mercati. Eppure il voto dei francesi non viene stigmatizzato come quello greco. Strano, no?
Ora Hollande rischia di ripetere lo stesso errore di Sarkozy: giocare con le parole, trattare, ma non portare a casa svolte concrete perché in realtà non ha idee nuove e chiare da proporre. Che significa, infatti, in concreto, varare un patto per la crescita? I mercati e gli elettori di solito non cascano nei tranelli tesi da semplici cosmesi linguistiche, soprattutto in tempi di crisi.
E' auspicabile uno scatto di orgoglio politico, se poi fosse anche creativo…
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