Che noia la retorica dei “cervelli in fuga, facciamoli tornare”

Io però questa retorica dei "cervelli in fuga, facciamoli tornare" non la capisco fino in fondo. Che cosa vorremmo? Che nessuno dei nostri dottori, ricercatori fosse appunto ricercato dalle migliori università internazionali?

Il problema non è se i giovani vanno all'estero. Ma bene, si viaggi, ci si muova. Uno dei momenti in cui mi sono sentito orgoglioso di essere italiano è stato quando in un pub di Seattle mi si è avvicinato un ragazzo abruzzese che mi ha raccontato di essere, trentenne, capo per il sud-est asiatico di una divisione di Microsoft.

Sì, viaggiare, lo diceva anche Lucio Battisti. Il mondo è globale, viaggiano con un clic le merci, sarebbe assurdo pensare che non possano viaggiare i cervelli. Certo, poi, alcuni cervelli è bene anche che restino da noi, a migliorare da subito questo paese quantomeno in stallo. Bene che qualcuno resti, anche soltanto per dimostrare che non tutti i professori, i tecnici devono per forza avere almeno più di sessant'anni. Bene poi che molti vadano e molti tornino, per portare nuove energie, nuove esperienze, nuove nozioni, nuove idee.

Resta il fatto che la mobilità, anche quella delle menti, è un segno di vitalità. Bene che sia in entrata e in uscita. Un altro momento in cui mi sono sentito orgoglioso di essere italiano è stato quando in visita nel Delaware alla sede di una grande multinazionale della bio-chimica mi sono ritrovato a intuire l'accento nostrano nello scienziato in collegamento da Ginevra che spiegava a tutti processi ogm ultramoderni.

Il problema non è neanche farli tornare. Se vogliono stare all'estero, è una scelta come le altre, no? Semmai dovremmo essere un paese attraente per altri cervelli, giapponesi, africani, sudamericani. E' lo scambio l'anima del commercio, l'anima dello sviluppo, l'anima della crescita. Soltanto scambiandoci i cervelli riusciamo a capire meglio e prima il mondo globale. Soltanto scambiandoci i cervelli riusciamo davvero a metterci nei panni degli altri paesi.

Il problema vero è essere al centro e protagonisti della globalizzazione e non soltanto subirla o subirne i lati negativi senza apprezzarne e sfruttare i lati positivi.