Le elezioni egiziane sono comunque una buona notizia perché intanto ci sono state. E questo è il primo punto.
Secondo punto, sono una buona notizia perché finora le operazioni di voto si sono svolte in modo relativamente non troppo burrascoso e violento, anche se, esprimendosi per iperboli, un collega e amico dal Cairo mi ha scritto su Skype: "Qui sono un po' pazzi. Al mattino segui le scartoffie elettorali, alla sera si prendono a colpi di machete. Ma va bene così".
Terzo punto, quello più critico, hanno vinto, come più o meno previsto, i Fratelli musulmani. Secondo partito dovrebbe arrivare il movimento dei salafiti, più integralisti anche all'apparenza dei Fratelli, mentre la terza forza è quella laica e liberale sostenuta dal tycoon Naguib Sawiris, con un risultato attorno al 16 per cento. Ovviamente c'è chi scommette in un alleanza, prima o poi, tra Fratelli musulmani e salafini in funzione governativa.
Il terzo punto, infatti, preoccupa. Può addirittura indurre a lanciare qualche allarme. Ma riflettendo si possono anche vedere alcuni aspetti che fanno ben sperare. Per esempio, se i salafiti hanno fatto campagna elettorale contro gli aiuti economici degli Stati Uniti all'Egitto, i Fratelli musulmani sono stati molto più cauti sul tema. Questa cautela potrebbe favorire un possibile accordo, magari anche di governo, di transizione e istituzionale, tra la stessa Fratellanza e la leadership militare del paese: l'esercito egiziano si regge sul sostegno finanziario statunitense. In questo caso, il candidato presidenziale più probabile, come garante istituzionale e politico del processo in corso, sarebbe Amr Moussa, già amatissimo (in Egitto) segretario della Lega araba.
Questo tipo di scenario, oggi forse poco probabile ma certamente possibile, incamminerebbe l'Egitto verso una prospettiva da "modello turco". Non a caso, sempre l'amico e collega via Skype mi dice: "Erdogan qui l'adorano". We'll see.
Ps. Comunque "intitoliamo un giorno le nostre piazze a Piazza Tahrir, sindaci pensateci".