“Ciao, ti passo la signora Fallaci”

Mi è capitato di parlare al telefono con Oriana Fallaci. Lei stava a New York, discuteva con Christian Rocca per un'eventuale, possibile intervista che poi magari era un intervento, forse un articolo, insomma, come sempre, avrebbe deciso lei che cosa.

Ricordo la sua precisione nei ricordi, eppure anche la determinazione a verificarne comunque l'esattezza. Voleva sapere tutto, ma tutto, su alcune teorie elaborate da Stephen Hawking, le servivano per parlare di vita e di morte, di biopolitica, cercava nello spazio e nella fisica la forza per le sue riflessioni esistenziali. Io più banalmente cercavo su Internet.

Il puntiglio nervoso ma cortese rendeva quella voce così famosa appassionata, ovviamente professionale e sinceramente giornalistica. Non era soltanto una signora di una professione in difficoltà, era una costruttrice di idee, le sue, e di flussi di coscienza, per tutti, flussi fatti di parole scritte e pesanti come il male di vivere che, chi più e chi meno, ognuno conserva almeno un po' nella propria scatola nera.

Dalla ricerca ossessiva della cosa, del ricordo e della frase emergeva la sua ostinata determinazione nel far combaciare fatti, idee e parole, per rendere lo scritto sempre più solido, compatto, grave.

Certo, l'intento era anche quello di scagliarlo, lo scritto, ma non per tramortire, semmai per risvegliare qualcosa su cui, idea giusta o sbagliata che fosse, valeva comunque sempre la pena riflettere.