L'apertura del New York Times on line segna il cambiamento di un paradigma: ora è l'America che si preoccupa per l'Europa e non viceversa come era accaduto fino all'inizio della diffusione dei timori per la solvibilità dei debiti sovrani di Grecia, Portogallo e ora Spagna. Proprio nel momento in cui negli Stati Uniti iniziava a circolare un po' di ottimismo per i dati della crescita, sui mercati europei torna la paura per gli eccessi di indebitamento di alcuni stati (il dato più recente riguarda la Francia). L'inversione del paradigma (mediatico) dimostra quanto l'economia americana sia comunque più flessibile ed elastica, dunque più rapida nella reazione, sia in senso negativo sia in positivo. Mentre l'economia europea, più solida in fatto di protezioni sociali e di stabilità della moneta, ha maggiori difficoltà a ripartire e deve comunque fare i conti con i propri deficit. Da questo punto di vista quanto sta accandendo in termini di timori potrebbe dimostrare la saggezza delle decisioni di quei governi, come quello italiano, che si sono dati una priorità particolare: prima di tutto non eccedere nella spesa per non preoccupare i mercati e continuare ad avere buone valutazioni di affidabilità da parte degli investitori. L'altra faccia della medaglia è però appunto la flebbilità, la capacità di innovazione, che a volte può essere favorita anche da oculati investimenti pubblici, la rapidità di reazione alle crisi sia in termini di coordinamento delle politiche nazionali (scarsa in Europa) sia in termini di modernizzazione dell'economia. Anche su questo punto l'Europa, Agenda di Lisbona o non Agenda di Lisbona, può e deve fare di più. Il discorso vale ovviamente pure per l'Italia: servono riforme. I mercati sono ipersensibili e gli andamenti delle Borse di queste ore lo dimostrano. Ma possiamo aggrapparci ai dati sulla crescita americana e sperare che la lezione sui deficit spending sia capita dai governi nazionali per confermare l'ottimismo che (fino a qualche ora fa) iniziava a circolare.
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