Qualche giorno fa il gruppo armato palestinese Hamas ha festeggiato la tregua raggiunta con Israele come fosse una vittoria. Questo è un dato preoccupante e significativo dal punto di vista politico perché è il sintomo di un’amara realtà: finché ci saranno gruppi armati palestinesi che festeggeranno una tregua come una vittoria militare la pace tra israeliani e palestinesi sarà ancora lontana. Ma questa, appunto, è la politica. Da un punto di vista più “umano”, se vogliamo di “cultura della vita”, il grave problema di questi festeggiamenti deriva dal fatto che gli stessi sembravano dimenticare o, peggio, ricordare ma pensare che siano stati utili e giusti i morti della fase bellica, le vittime. Già, le vittime. Il presidente palestinese Abu Mazen, che pure stava lavorando a un governo di unità nazionale con Hamas proprio nelle ore a ridosso dell’inizio dell’ultimo conflitto, si è ricordato di quelle vittime. Riporta l’Ansa che: “A Gaza ‘si poteva evitare tutto questo: 2.000 martiri, 10mila feriti, 50mila case danneggiate o distrutte’. In un’intervista mandata in onda da Palestine tv – stando ai principali media internazionali – il presidente palestinese, Abu Mazen ha criticato Hamas per avere prolungato la guerra con Israele nella Striscia di Gaza, lasciando intendere che si sarebbe potuto accettare prima il cessate il fuoco con Israele mediato dall’Egitto”. Del resto, già mentre i combattimenti andavano avanti, il rappresentante palestinese alla commissione Diritti umani dell’Onu, l’ambasciatore Ibrahim Kraishi, aveva definito i razzi lanciati da Hamas contro Israele: “crimini contro l’umanità perché diretti contro obiettivi civili”, mentre le forze israeliane – continuava l’ambasciatore – seguono comunque le procedure legali, avvisando la popolazione civile prima di colpire territori abitati appunto da civili.
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