Come si è arrivati al minimo comune denominatore tedesco? Matteo Renzi, mentre riconquistava il Partito democratico con le primarie, ha lasciato che si discutesse di ipotesi iper-proporzionaliste nel dialogo con i centristi, ribadendo però che la proposta del Partito democratico era il Mattarellum. Poi, riconquistato il partito, ha abbozzato qualche minuto di politica dei due forni, aprendo al dialogo con Berlusconi e/o con il Movimento 5 Stelle, sapendo in realtà di poter contare sull’appoggio di Matteo Salvini al Mattarellum e a qualunque altra soluzione che portasse il prima possibile il paese alle urne. Dopo la melina dei due forni, per stanare soprattutto Berlusconi, Renzi ha fatto circolare alla grande l’idea che ormai il patto con Salvini per il Mattarellum era fatto e con tanto di contorno verdiniano, nel senso di Denis Verdini e della proposta di legge elettorale soprannominata Verdinellum, ovvero il Mattarellum corretto, che poi via via è stato ribattezzato in Rosatellum. Insomma, tutte le ipotesi in -ellum erano pretattica.
Con lo spauracchio del patto con Salvini, Renzi ha stanato Berlusconi, che alla fine ha proposto una cosa molto simile al sistema tedesco che ora va per la maggiore, e ha accettato, in cambio del dialogo con Renzi, l’idea di andare al voto presto, in autunno.
Quello che aveva capito tutto da tempo è un’altra vecchia volpe della politica italiana (e padana): Roberto Maroni. Il governatore della Lombardia, infatti, intuendo mesi fa che tutto convergeva verso l’autunno, prima si è schierato con il collega Veneto Luca Zaia per tenere i referendum autonomisti per le loro due regioni il 22 ottobre e poi ha fatto capire di poter abbreviare il suo mandato in Regione Lombardia per ricandidarsi e andare al voto anche per le regionali in autunno, potendo godere così di un doppio, triplo effetto traino.