Il Polo Monti, la rassegnazione di Fini e il clima elettorale

Nell'intervista di oggi a Repubblica, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, tenta, almeno con le parole, un ambizioso passaggio in più rispetto a quanto finora si è detto sul nascente Polo Monti: "Su una cosa sono d'accordo con Bersani: il governo che uscirà dalle elezioni sarà un governo politico, altrimenti tra un po' qualcuno dirà che tanto vale non fare più le elezioni".

Il passaggio in più consisterebbe nel tentare di "politicizzare", nel miglior senso dell'orrendo termine, cioè di trasformare in offerta politica, l'agenda del governo Monti. Per farlo, però, non basta candidare qualche ministro nelle liste del prossimo (prossimo?) centro. Non basta nemmeno sperare che dalle elezioni, per incanto o per fortuna o per magia, emergano le condizioni per rendere possibile un simile scenario. Per farlo andrebbe costruita una chiara offerta politica in tal senso da sottoporre al giudizio degli elettori, con chiarezza e senza tatticismi.

Insomma, partire sconfitti non giova; pensare subito a come ottenere, senza la politica, ciò di cui il paese ha bisogno, cioè un partito e/o una coalizione per l'agenda Monti, rende più difficile proprio il verificarsi delle condizioni necessarie perché ammanta il tutto di un antico sapore da operazione di palazzo.

Nelle parole del presidente Fini si coglie però una certa rassegnazione: "C'è un'area vasta di elettori che ambirebbe a una rappresentanza diversa…". Ma, sostiene Fini più avanti, "sarà il capo dello Stato a indicare il prescelto per Palazzo Chigi: è evidente che conterà quello che diranno le delegazioni dei partiti al Quirinale".

Sì, ma che cosa avranno detto, nel frattempo, i partiti agli elettori?

Le considerazioni del presidente della Camera sono naturalmente inappuntabili dal punto di vista del diritto costituzionale, ma dal punto di vista della politica parrebbe più utile, appunto, una chiara proposta fatta agli elettori: candidiamo tizio, perché vogliamo fare l'agenda Monti e con gli alleati che ci stanno, perché l'Italia ne ha bisogno per questi e questi altri motivi.

Fini si è però persuaso del fatto che "proprio perché sono stato un bipolarista mi sono convinto ormai che dobbiamo archiviare un sistema che, in Italia, ha portato solo macerie". La rassegnazione si coglie anche nella risposta sulla legge elettorale: "Se fosse per me sarei per l'uninominale maggioritario. Vince chi prende più voti. Ma siccome temo che…".

Proprio Fini, assieme a pochi altri, tra cui gli antesignani di questa battaglia, cioè i radicali di Marco Pannella, si era battuto per i referendum elettorali, uno dei quali perso d'un soffio, tesi a creare un sistema elettorale uninominale maggioritario secco e lo aveva fatto proprio perché con quel sistema elettorale si poteva e si potrebbe creare in Italia un bipolarismo efficace tendente al bipartitismo.

Dunque, si potrebbe anche dire che le macerie di cui parla Fini non sono nate da un bipolarismo vero che non abbiamo avuto, visti i referendum falliti, ma dal peso che i partiti, le correnti, le coalizioni inevitabilmente modello Unione, la scarsa chiarezza nel rapporto con gli elettori, prima e dopo il voto, e la non certa sanzione elettorale dell'operato delle forze politiche hanno esercitato nel corso degli anni. Vaste dibattito.

  • Paolo Valletta |

    Concordo. Inappuntabile.

  • natale barbone |

    Sapete una cosa? Penso che in Italia, tutti, da troppo tempo, si siano abituati ad argomentare, senza contraltare, su qualsiasi argomento, teorizzando questo e quest’altro, blablando un po’ quì un po’ là, senza avere più il tempo di guardarsi attorno. La vita vissuta non più fisicamente, con i piedi per terra, che sentano il terreno e che ne traggano linfa vitale,ma soltanto cervelloticamente, con la sorda propensione degli sciocchi a presumere di ragionare e perciò di essere superiori agli altri della tribù, e potere, perciò, farli fessi con poco, dimenticando, ahimè, che l’essere a capo di una tribù di fessi, non ti fa meno fesso. Ora, da troppo tempo, su tutti i quotidiani italiani, si blabla sistematicamente su qualsiasi cosa con argomenti sempre dei più seri e dei più vitali per la Nazione, e con tutta la seriosità del caso, le migliori pseudo menti di ogni scibile, si misurano sulle dinamiche e sulle analisi per poter, in maniera indolore, uscire dal pantano, che , a breve, potrebbe sommergere tutti. Nessuno di costoro, però, ricorda di essere fatto di carne e sangue, di vivere in una terra vera, fatta di uomini e donne veri, non simulacri numerari di voto di consenso, di una terra che ha bisogno di manutenzione ordinaria di acque, boschi, montagne, colline, manufatti agricoli, fiumi, laghi, palazzi, città, coste, golfi, spiagge, famiglie, vita, qualità della vita. Di una terra che ha bisogno di recuperare la propria storia, non quella prossima soltanto, ma quella remota, al fine di legarla al presente e rendere l’uomo italico partecipe e testimone della propria storia attualizzandola con la richiesta esigente di una vita di qualità. Una classe dirigente di ladri o di blabla non è classe dirigente. E’ solo una piccola tribù di lestofanti senza storia che si arrangia per sfangare la giornata. Credo che si debba parlare di meno e organizzare meglio, fisicamente, il nostro presente. La stampa, per sua natura, deve essere, sempre, contro chi è al potere. Il primo strumento di controllo del potere deve essere la stampa. Il giornalista deve sapere con esattezza qual’è il suo compito e deve eseguirlo in tutta umiltà. Quando si suppone di essere meglio preparati degli altri o più colti e si fosse tentati di approffitarne sarebbe un grave tradimento del proprio compito sociale. Così come di grave tradimento di tratta quando un politico ruba o fa di tutto per pensare ai casi suoi senza pensare al bene comune. Questo è il nostro tempo e quando Galli della Loggia, oggi, parla di avere scoperto il degrado fisico e morale del nostro Paese, mi vien che ridere, perchè ha scoperto l’acqua calda e crede di avere scoperto qualcosa d’altro. Organizzare bisogna. Al fine di concepire un uomo nuovo, più umile e inquadrato dalle regole, che lo plasmino e lo limitino, ma che lo rendano, nel contempo, morale e umano.

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