Fare le riforme con Matteo Renzi è l’unico modo per Silvio Berlusconi – il nuovo Silvio Berlusconi, quello che ama negoziare, trattare, pareggiare più che vincere, essere al tavolo più che a capotavolo, essere determinante e non importa se non comandante – l’unico modo per uscire dall’angolo politico dei servizi sociali e per riaccarezzare il desiderio di passare alla storia politica di questo paese come un riformatore, nel bene e nel male. Per questo l’ex Cav. non ascolta i consigli tatticamente corretti dei falchi del suo partito, che vorrebbero un’opposizione dura e pura su tutta la linea per ragioni di consenso (che sarebbe peraltro solo contingente). Per questo il patto del Nazareno regge. Per questo i tavoli ribaltati per ora sono soprattutto quelli dei retroscena e nulla più. Berlusconi non ha (più) un’altra storia da raccontare, se non quella del leader più esperto, e dunque ammaccato, che aiuta il giovane astro nascente a fare alcune delle riforme che avrebbe voluto, senza riuscirci, fare lui. Non ha più una storia alternativa da raccontare e lo sa. E Renzi non ha un vero interlocutore alternativo per le riforme e lo sa. Qui viene il secondo motivo per cui il patto del Nazareno regge, quello più banale: Berlusconi la pensa come Renzi in alcune cose, sulle riforme tese a rendere la nostra una democrazia più capace di decidere e con rapidità. Il fatto che i leader di due partiti, uno grande e in ascesa, l’altro fortemente ridimensionato e in declino, abbiano idee, obiettivi e perfino interessi comuni è una cosa inaudita qui da noi, forse, ma è uno scenario abbastanza normale altrove. Chissà, magari stiamo andando altrove rispetto a qualche nostro problema.
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