Sottomessi a Houellebecq

SottomissioneA proposito di “Sottomissione” (Bompiani) è stato scritto tutto e il contrario di tutto e già questo è un merito dell’autore, Michel Houellebecq. “Sottomissione” è un libro che ha almeno quattro piani di lettura. Il primo, ovviamente, è quello politico e/o geopolitico e/o fantapolitico: la Francia delle elezioni presidenziali, il peso e il fascino delle religioni e in particolare di una religione, l’Islam, su società fiaccate da un laicismo tran-trannista più che edonista, il concetto di democrazia e quello di consenso come e quando diventano istituzioni. Il secondo, non troppo ovviamente, è un piano di lettura emotivo, sentimentale: ci sono storie d’amore, c’è una storia d’amore. Anzi, l’amore sofferente può essere perfino visto come il motore immobile dell’atto finale. Il terzo, colto da Alessandro Baricco nella sua recensione su Repubblica, è il piano saggistico. Buona, in fondo, la domanda provocatoria dello stesso Baricco: ma se Houellebecq voleva scrivere un saggio su Huysmans perché non ha scritto un saggio su Huysmans? Il quarto piano, più recondito e in parte sminuito, anche se in realtà sottolineato nei ringraziamenti finali, è il piano, diciamo, “accademico”, ovvero l’arguta critica di costume al mondo dell’Università e di chi, per conto dello Stato (quale Stato?), decide chi e che cose e come si insegnano le cose, ma soprattutto le idee alle nuove generazioni. Al di là degli almeno quattro notevoli piani di lettura e di un atto d’accusa rivolto soprattutto alla Francia, come ha scritto Adam Gopnik su Newyorker, Hoellebecq non ha scritto un saggio sul rapporto tra Islam e Occidente o sull’amore dei quaranta-cinquantenni o su Huysmans o sull’Università perché è prima di tutto uno scrittore, un abile scrittore in senso letterale e tecnico. Perché riesce a scrivere in modo esattamente intonato a ciò che sta descrivendo. Il contenuto e il mezzo del suo romanzo sono identici, sono la stessa cosa. Houellebecq scrive stanco, lascivo, accidioso esattamente come stanco, lascivo e accidioso è il mondo che descrive. Il merito giustifica il metodo. E viceversa. Per questo può essere anche e spesso odiato, può dare fastidio, ma non può passare indifferente. E’ lo scopo che si pone, come scrittore, e che raggiunge con il lettore, quel lettore che alla fine, volente, nolente o magari perfino un po’ inorridito, accetta il rapporto di sottomissione con una strana sensazione di piacere.

  • Paolo Di Fresco |

    Baricco dimostra di avere totalmente frainteso il senso dell’opera di Houellebecq quando chiama in causa Philip Roth per demolire la figura dell’accademico annoiato e lascivo di Sottomissione. Secondo Baricco, Roth (e con lui Coetzee) avrebbero già detto tutto – e meglio – su quello che succede “a un uomo colto quando il suo corpo e la sua mente registrano la fine dell’età d’oro e il premere di un qualche crepuscolo (in genere odiare tutti e perdere la testa per qualche studentessa)”.
    Il confronto rivela, però, la solita inclinazione dell’intellettuale italiano leftist e politically correct a forzare all’interno di schemi collaudati e banalizzanti ciò che se ne pone
    agli antipodi.
    Gli accademici compiaciuti e ossessionati dal sesso,raccontati fino allo sfinimento da Roth,hanno poco a che spartire con la desolazione spirituale dei personaggi di Houellebecq.
    Da un lato, abbiamo scimmie nude e animali morenti, tutto sommato appagati nella loro mondana e un po’ annoiata sfiducia universale; dall’altro, uomini svuotati dal deserto del reale, che hanno nostalgia di Dio, ma sono incapaci di verticalità trascendente (e allora ben venga un Islam di comodo!) .
    La differenza, a mio avviso, si coglie nella rappresentazione del sesso, che in Houllebecq è carnale, pornografica e “orizzontale”, mentre in Roth si riduce, a ben vedere, a ridicola mistica “del pompino”.

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