Luca Sofri racconta il vero caso UniCredit visto dal Post

Il Post di Luca Sofri, sito
di informazione unico in Italia nell’essere giornale ma anche giornale di
giornali (e di giornalisti), con sei sette persone che lavorano tutti i giorni da mattina
prestissimo, veniva aggiornato ieri notte “da casa”, dice Sofri, sul caso
UniCredit. Anzi sul vero caso UniCredit. Perché il Post, nel seguitissimo blog Wittgenstein, ha raccontato,
ricostruendo minuto per minuto, come una non notizia
, per quasi tutti i
giornali e siti di giornali (tranne il Sole 24 Ore, come hanno ricordato Sofri
stesso e Massimo Bordin a Radio radicale), sia diventata una ovvietà, un fatto
scontato. Sofri si è semplicemente chiesto: ma questa lettera di dimissioni di
cui parlano esiste o non esiste? Non esisteva, come scrive oggi lo stesso
giornale che l’ha data per scontata da due giorni, “a riga 13 del pezzo del
Corriere e in una sola riga la smentita che ha forse fatto crollare il titolo
in Borsa? L’ho trovato meraviglioso”, commenta Sofri. Colpa delle regole della
rete, questo fiorir di notizie su notizie che partono da una lettera di
dimissioni che non c’era? “No, colpa delle logiche che i media tradizionali
applicano alla rete e sono logiche che vengono dalla cultura contemporanea dei
giornali, una cultura fatta di accelerazionismo e sensazionalismo”. I media
tradizionali accusano la rete di essere aggressiva e inaffidabile e di copiare contenuti
altrui? Sofri risponde che “l’aggressività che c’è in rete è quella che c’è in
giro. Come dimostra quest’ultimo caso, la quantità di cose inaffidabili sui
media tradizionali è enorme, ma nemmeno ci facciamo più caso. Sul copiare poi..
pure i media tradizionali…”. Però, dai, vedere quante letture ha ogni singolo
articolo è un po’ una droga, la droga dell’audience. “Sì, ma è ovvio che si
deve trovare un bilanciamento tra la tua assunzione di responsabilità e la
necessità di avere un ascolto. Nei giornali italiani succede spesso che
prevalga la demagogia. E che uno giustifichi tutto dicendo: la gente lo vuole. Se
non fosse pericoloso dirlo, ci vorrebbe un’educazione delle masse”. Ma sembra
che in rete le masse educhino i singoli. “Perché il singolo abbandona il suo ruolo.
Ottimo sapere che cosa vogliono i lettori, ma non è detto che bisogna darglielo”.
Poi ci sono i problemi legati all’anonimato on line: un post non firmato, oppure un’agenzia
anonima, oppure un commento anonimo, insomma da lì possono nascere non notizie
che producono effetti. “Sono favorevole al 'nonimato'. Sei ridicolo se non firmi
quello in cui credi, anche se non è il problema prioritario. E’ comunque una
scemenza quella che vuole che l’anonimato sia sinonimo di libertà… in Cina
forse”. Come ti è venuto in mente di ricostruire il vero caso UniCredit? “Ho
maturato una certa sensibilità alle balle e per carattere nulla mi irrita di
più delle balle. La logica spesso è che si sa che una notizia arriverà, dunque
è già arrivata, dunque la si dà. Come ora la cosa di Profumo leader della
sinistra. Non esiste nulla, eppure i giornali ne scriveranno per settimane. Sensazionalismo
puro, in questo Repubblica è maestra. E già parte il referendum in rete: piace
o no Profumo leader…?”. Che cosa pensi di Profumo? “Non lo conosco, ma ne ho
sempre sentito parlare bene. Un’altra cosa che mi ha colpito di questo caso è
lo spaesamento: stavolta non c’era la linea chiara tra destra e sinistra. Lo
vedi anche sui giornali lo spaesamento”.