Che la Lega Nord finisse più o meno così, nello scontro al vertice tra Umberto Bossi e i bossiani da una parte e Roberto Maroni e i maroniani dall'altra, era in qualche modo prevedibile. Ma certo non ora, non così presto. Si pensava infatti che la scelta di opposizione dura al governo guidato da Mario Monti potesse rinviare la (prima o poi naturale) battaglia per la successione alla guida della Lega.
Invece, il caso Cosentino, terminato con il "no" all'arresto, ha accelerato i tempi. Il paradosso è che un esito differente della vicenda parlamentare avrebbe potuto comportare problemi di tenuta per la maggioranza, invece ora a soffrire è il principale partito di opposizione.
La sofferenza leghista può anche essere una crisi di crescita per certi versi scontata. Anche nelle migliori famiglie prima o poi si litiga e anche nelle migliori aziende non sempre la successione al vertice e il ricambio generazionale sono indolori. Anzi. In un movimento ormai così antico – in fondo la Lega è il partito più anziano presente in Parlamento con una cosistente pattuglia e il suo nome di origine – il cambio è all'ordine del giorno. Sta avvenendo perfino nel Pdl berlusconiano qualche cambiamento, figuriamoci nel ben più sanguigno movimento leghista.
Un dato curioso è il parallelo con il 1994. Anche nel '94 le sorti di Bossi e Berlusconi s'incamminarono su strade decisamente diverse. Anzi, la Lega fu una delle ragioni della fine del primo governo Berlusconi. Anche allora peraltro tra Bossi e Maroni si coglievano, a quel tempo nel sottofondo, opinioni diverse: Bossi durissimo contro Berlusconi, Maroni più sensibile alle esigenze di un ritorno (prima o poi) della necessità per la Lega di allearsi con l'allora Forza Italia. La storia su questo punto ha dato ragione a Maroni. Ma le decisioni di Bossi allora non potevano essere contestate apertamente, di chi lo fece oggi non si ricorda più il nome. Maroni questo lo sapeva e tenne i malumori suoi e dei suoi sotto coperta. Oggi è diverso.
Ora tra il Senatur e l'ex ministro dell'Interno le parti sono invertite, gli anni sono passati e gli scenari futuri sembrano non delineare, anche – perché no – per ragioni anagrafiche, un ritorno di una forte centralità dell'intesa tra Bossi e Berlusconi. Discorso diverso, però, è quello del rapporto tra Lega e Pdl.
Maroni, che non ha certo intenzione di dedicarsi soltanto al suo gruppo musicale Distretto 51, sa che prima o poi con il Popolo della libertà la Lega dovrà tornare a parlare anche a Roma, se vuole continuare a governare il Piemonte, il Veneto e in futuro anche la Lombardia. E da sempre si parla di Maroni come possibile governatore lombardo.
Per questo l'ex ministro dell'Interno, che oggi sembra il più netto nel volere l'allontanamento dall'attuale Pdl, anche per ragioni tattiche legate appunto al ricambio di scenario e di personale politici, non disdegna affatto di mantenere un buon rapporto con Angelino Alfano, segretario del Pdl e delfino scelto dal Cav.
Difficile pensare che Maroni, per la sua storia, la sua esperienza e la sua presa sul movimento leghista, attendesse di essere "scelto", più probabile, come sta accadendo, una qualche battaglia per la presa di via Bellerio.