Se un outsider vince le primarie, la vocazione maggioritaria del Pd si rafforza

A proposito di primarie, si possono coltivare alcuni pensieri sparsi, molto sconclusionati. Prima di tutto – non c'è dubbio – sarebbe meglio che il metodo delle fosse regolato per legge e per tutti i partiti. La discussione sull'ipotesi di una legge per disciplinare le forze politiche e i loro finanziamenti potrebbe essere l'occasione per affrontare il tema.

In più, è (abbastanza) un unicum il fatto che in Italia il Partito democratico abbia lanciato questo metodo sia come strumento per la selezione delle leadership di partito sia per la scelta dei candidati di coalizione nelle varie elezioni dei più disparati livelli. Questo secondo aspetta espone il partito principale, il Pd, al rischio del ricatto di coalizione da parte dei partiti minori e alla possibilità del successo mediatico che diventa elettorale degli outsider. Ma siamo sicuri che sia un problema? Non potrebbe essere una risorsa?

Quando un outsider vince le primarie diventa il candidato della coalizione e siccome la coalizione si regge attorno a un partito principale, il Pd, lo stesso outsider tende inevitabilmente a trasformarsi in insider, insomma si normalizza, in sostanza si avvicina al partito principale e comunque è più sensibile alle sue istanze. Il caso di Pisapia potrebbe essere un buon esempio: chi si ricorda più che era in Rifondazione e che partì come candidato di Sinistra e libertà? Quindi, alla fine, anche il Pd ci guadagna, in volti nuovi, in allargamento della coalizione, in rimescolamento delle carte, in capacità di attrarre forze esterne ed elettori nuovi.

Ecco la vocazione maggioritaria che diventa realtà grazie al metodo delle primarie, come da credo veltroniano. Sempre che non si abbia il timore di usarlo sempre e comunque a costo di vedere, ogni tanto, perdere il proprio candidato e vincere l'outsider, in attesa che diventi un insider.