La deriva “austeritaria” dell’Ue di fronte alla dura realtà elettorale

La deriva "austeritaria" dell'Europa sta colpendo elettoralmente i governi in carica, almeno quelli che sono sottoposti al giudizio dei cittadini perché guidati da partiti o comunque da leader politici. Com'era previsto e prevedibile, la tosta Germania della tosta Angela Merkel non fa eccezione. (Da un punto di vista tattico-politico, Silvio Berlusconi è uscito da Palazzo Chigi giusto in tempo…)

Il problema non è di poco conto. Perché la democrazia o è buona sempre o non è buona. Non si può pensare che la democrazia funzioni soltanto se gli elettori danno le risposte attese dalle élites, dai mercati o da Standard & Poor's.

Ma se la democrazia è buona perché l'austerità è sconfitta alle urne? Beh, verrebbe da dire, per forza, chi è felice di stringere la cinghia e di versare lacrime e sangue? Nessuno o pochi. Eppure la spiegazione più semplice può non convincere del tutto.

Ho sempre avuto la irragionevole convinzione che gli elettori siano quasi sempre più avanti e più dalla parte della ragione degli eletti. Dunque, votando contro questi governi "austeritari" lanciano chiari messaggi.

Il punto è questo. O l'austerità è sbagliata e dunque gli elettori la bocciano in quanto ricetta sbagliata. O è giusta ma non è spiegata, non è inserita in un vero progetto di riforma dei nostri sistemi economico-sociali che non reggono più nel mare della globalizzazione o che per reggere nel mare della globalizzazione devono riformarsi e ridimensionarsi in profondità.

Mancano leader capaci di spiegare perché il travaglio strutturale vissuto dalle economie sviluppate spinge le nostre società a ridimensionare parte del loro benessere, a ripensare le loro strutture di welfare, come ha ricordato alcuni mesi fa il presidente della Bce, Mario Draghi, a preparare mondi del lavoro differenti da quelli tradizionali.

Dipingere l'austerità come un lacrime e sangue più o meno fine a se stesso o, peggio, come l'unico modo per dare tregua alle fameliche agenzie di rating non è soltanto un delitto è, peggio, un errore. Ed è giusto che gli elettori – in Francia, in Germania, in Grecia, chissà, domani magari anche in Italia – segnalino ciò che manca: la spiegazione, la presa di coscienza, la forza delle idee.

Bisogna raccontare l'austerità non come l'unico modo per tentare di difendersi dallo spread, per preservare il preservabile, per rabberciare passato e presente; bisogna spiegare l'austerità, il ridimensionamento delle spese pubbliche, come uno dei due polmoni – l'altro è un progetto di sistema paese elastico e innovativo – per costruire il futuro. Se no, le bocciature elettorali sono meritate e dare la colpa agli elettori significa soltanto non capire, ancora una volta, non capire.

  • CorteSconta |

    Parole sante! L’impressione complessiva é che i politici europei, nati e cresciuti in un continente abitato da vacche grasse, non siano minimamente in grado di affrontare problemi che i loro predecessori, confrontati con il dopoguerra, la ricostruzione delle economie e la rifondazione degli stati avrebbero, non dico risolto in quattro e quattr’otto ma certamente affrontato con ben altro piglio. Sarà una banalità ma la Merkel non é Kohl, Sarko non é De Gaulle e in Italia manca un De Gasperi (ma anche un Togliatti) da troppo tempo.

  • zambiasi10 |

    Qui è in gioco il ruolo dello Stato in quanto tale: il “welfare state” deve essere il fondamento di uno Stato e, l’altra parte è il “sistema economico paese” che deve essere promosso e regolato dalla Stato in un regime democratico liberale. La mancanza di modelli equi, si veda Stati Uniti e/o Cina, crea sfiducia e caos nell’elettorato, perchè la scelta non è il meglio ma il peggio. La Germania è la terza via: forte Stato in libero mercato.

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