La buona notizia del primo turno si è trasformata in una brutta sorpresa al secondo. Boris Tadic è stato sconfitto dall'eterno rivale Tomislav Nikolic nel ballottaggio delle presidenziali serbe.
Tadic dunque va a ingrossare le file dei leader battuti anche per "la deriva austeritaria" dell'Unione europea, pur non essendo ancora Belgrado in Europa. E qui sta il punto.
Non che l'economia sia l'unico fattore che ha indebolito il presidente filoeuropeista, ma certo una disoccupazione molto elevata e una prospettiva europea che si avvicina ma non è ancora immediata non hanno favorito la rielezione del leader moderato, pragmatico e filoeuropeista che anche sull'incandescente dossier del Kosovo aveva tenuto una linea di ragionevolezza.
Ora Nikolic dice di voler continuare il processo di integrazione della Serbia nell'Europa, anche se i suoi toni sono più nazionalisti e populisti di quelli di Tadic, anche se il suo partito è l'erede diretto di quello dell'autocrate Slobodan Milosevic.
Il dossier del Kosovo tornerà a essere ancora più complicato. Il soft power europeo c'è, come si vede anche nelle parole dello stesso Nikolic, ma spesso non sa usare tutta la sua forza attrattiva e soprattutto i tempi europei sono spesso più lunghi dei mutamenti di umore e di idee degli elettori dei vari paesi. (Basti pensare alla vicenda delle trattative tra Bruxelles e la Turchia).
L'errore da non fare ora è demonizzare Nikolic, dopo aver aiutato abbastanza ma non troppo il predecessore, per non correre il rischio di (ri)allontanare la Serbia dall'Europa e di rimettere in discussione tutti i difficili equilibri dei Balcani.
A Tadic va sicuramente l'onore dell'armi e l'apprezzamento per il coraggio della moderazione. Sentiremo ancora parlare di lui. Speriamo presto in Europa.